di Peter Mullan (Irlanda/Gran Bretagna, 2002)
Nel 2002 il Festival di Venezia lo vince a sorpresa lo scozzese Peter Mullan con “Magdalene” (“The Magdalene Sisters”), un dramma a sua volta ispirato al documentario del 1998 “Sex In A Cold Climate”. Al centro di questo film-denuncia ci sono le famigerate Case Magdalene, una serie di istituti femminili in cui molte ragazze erano trattenute contro la loro volontà: una storia lunga oltre un secolo che si è conclusa soltanto nel 1996, quando è stato chiuso l’ultimo di questi conventi. Tali luoghi prendevano il nome da Santa Maria Maddalena, la quale secondo la tradizione cattolica si pentì dei suoi peccati e divenne una fedele seguace di Gesù. Ma di quali peccati stiamo parlando? Essere madre nubile, essere troppo avvenente o troppo brutta, essere rimasta vittima di uno stupro, queste erano alcune tra le cause più frequenti per cui si decideva di affidare le donne alle Case Magdalene, ennesima vergogna del secolo passato di cui la Chiesa non ha mai fatto ammenda (successivamente sono stati denunciati casi legati ad abusi sessuali, psicologici e fisici).
Quella di Peter Mullan è dunque una pellicola persino leggera rispetto a quanto è stato raccontato da alcune ex ricoverate, tuttavia basta soltanto un austero clima di oppressione per comunicarci un senso di totale angoscia e sofferenza. Le vicende prendono piede nel 1964 e sono incentrate su tre fanciulle (Bernadette, Margaret e Rose), tutte affidate al convento gestito da Madre Bridget per espiare i loro presunti peccati: Margaret è stata violentata dal cugino durante un matrimonio (un episodio che la disonora davanti agli occhi della sua famiglia), Bernadette invece è orfana e il suo carattere civettuolo suscita troppa attenzione da parte degli uomini. Infine conosciamo Rose, una ragazza madre. Le tre giovani, nel frattempo sfruttate nelle lavanderie dell’istituto, sperimentano sulla loro pelle l’emarginazione dalla società e i soprusi perpetrati da questi rappresentanti religiosi che non devono rispondere a nessuno del loro operato.
Lo stile di Peter Mullan è molto asciutto e rigoroso, un approccio sobrio che rinuncia allo spettacolo (le scene forti non sono mai gratuite) per fare invece spazio alla denuncia vera e propria, sempre credibile e dai toni mai forzati. Ne scaturisce un film piuttosto sgradevole per i suoi alti contenuti di sadismo, di ipocrisia e di cattiveria, una violenza spesso psicologica che segna con grande frequenza queste due ore scarse di visione. Oltre ai suddetti meriti, “Magdalene” può contare su un cast davvero affiatato (ottime le interpretazioni delle ragazze), un valore aggiunto che si esalta soprattutto all’interno di una location volutamente scarna e priva di punti di riferimento.
Sembra trascorso chissà quanto tempo, eppure questa raccapricciante realtà intrisa di misoginia e pregiudizi è stata vissuta dalla generazione che ci ha preceduti: onore a Peter Mullan per essere riuscito, con estrema intelligenza, a portare sullo schermo un tema così scottante senza mai risultare patetico o blasfemo. Un film per spiriti liberi, come la bella e indomita Bernadette.
(Paolo Chemnitz)
L’ha ripubblicato su l'eta' della innocenza.
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