di Juliano Dornelles e Kleber Mendonça Filho (Brasile, 2019)
C’era molta curiosità attorno a “Bacurau”, un inclassificabile film brasiliano premiato dalla giuria durante la scorsa edizione del Festival di Cannes. Un prodotto sicuramente originale, anche se è importante ribadire che sapersi distinguere dagli altri non sempre corrisponde a essere migliore degli altri. Juliano Dornelles e Kleber Mendonça Filho devono aver messo in conto pure questo, perché la visione della loro multiforme creatura è come un fatidico lancio di dadi, una sfida a occhi chiusi che mette a dura prova anche lo spettatore.
Se l’Australia ha l’outback, il Brasile ha il sertão: è proprio in questa brulla zona del nord-est che prendono vita le (dis)avventure di una piccola comunità, un manipolo di persone colpito dal lutto della loro vecchia matriarca. Ci troviamo in un futuro molto prossimo, ma la morte ha sempre lo stesso volto e le tante bare di legno trasportate lungo una strada sterrata ci ricordano che qui il progresso non è ancora arrivato. Le immagini della veglia funebre hanno un retrogusto antropologico non indifferente, non a caso le suggestioni iniziali del film sembrano prese in prestito dal Cinéma Nôvo di Glauber Rocha (pensiamo ad “Antonio Das Mortes”). Tutto quello che succede in seguito ha però dell’incredibile, perché in quel villaggio accadono una serie di eventi inspiegabili. Bacurau sparisce infatti dalle mappe satellitari, mentre un gruppo di motociclisti (prima) e alcuni stranieri (dopo) provano in tutti i modi ad annientare i suoi abitanti, legati tra loro da antiche tradizioni e per nulla inclini a essere sottomessi da qualcuno.
In “Bacurau” non ci sono personaggi principali. Sicuramente nel cast spicca la presenza di Udo Kier (nei panni di Michael) o della brava Bárbara Colen (Teresa), ma parliamo comunque di un film corale, dove lo spessore psicologico dei protagonisti ha davvero poca rilevanza. Ciò che colpisce invece è il repentino cambio di registro che pervade la pellicola col il trascorrere dei minuti, una mutazione che contempla al suo interno elementi distopici, drammatici, grotteschi e neo-western (i due registi citano come importante fonte di ispirazione “Vamos A Matar, Compañeros” di Sergio Corbucci), un audace e colorito miscuglio che a lungo andare risente di una certa dispersività (c’è anche un omaggio musicale a John Carpenter privo di una concreta contestualizzazione). Non serve quindi amalgamare il tutto con una buona dose di sangue e ultraviolenza, “Bacurau” ha idee da vendere ma si piega inesorabilmente al minestrone fine a se stesso, il vero (e unico) grande limite di un lavoro a suo modo interessante.
La metafora socio-politica è ben visibile, tuttavia non sarebbe corretto chiamare in causa l’attuale Brasile di Jair Bolsonaro: Juliano Dornelles e Kleber Mendonça Filho hanno infatti messo in chiaro che la gestazione del film risale a parecchi anni fa, quando un governo simile era forse impensabile. Resta comunque sul piatto un discreto esempio di cinema a trecentosessanta gradi, nel quale ogni fotogramma può rappresentare una nuova scoperta per i nostri occhi. Un prodotto dunque ambizioso e brillante allo stesso tempo, quanto un filo sopravvalutato rispetto al suo effettivo valore.
(Paolo Chemnitz)