Blind Shaft

blind shaftdi Li Yang (Cina/Germania/Hong Kong, 2003)

Solo di recente Li Yang ha concluso la sua ipotetica trilogia incentrata sui contrasti sociali di una Cina a noi sconosciuta, risale infatti al 2017 il suo ultimo “Blind Way”, un terzo capitolo comunque meno brillante rispetto ai primi due lungometraggi, “Blind Shaft” (2003) e “Blind Mountain” (2007). Davanti a questi titoli inequivocabili, una domanda sorge spontanea: la Cina contemporanea ha (forse) imboccato un vicolo cieco? Anche se non è facile rispondere, una cosa è certa, l’approccio realistico e imparziale del regista vale quasi come una testimonianza diretta sul campo, non a caso Li Yang non è mai stato gradito dalla censura cinese che all’epoca proibì proprio la proiezione di questa pellicola.
Due minatori (Song e Tang) hanno un piano ben preciso: uccidere un loro collega nel buio di un cunicolo sotterraneo per intascare i soldi della sua assicurazione, ovviamente dopo aver fatto risultare la vittima come un loro parente. Un finto incidente dunque, per truffare il capo e arricchirsi in maniera semplice. Bastano pochi giri di lancetta per capire con chi abbiamo a che fare, con una coppia di individui cinici e senza scrupoli che attraverso il lavoro hanno perso completamente l’umanità. La storia si ripete ancora quando i due provano a fare lo stesso giochino con un ingenuo sedicenne appena assunto in miniera, solo che stavolta le cose non vanno per il verso giusto. L’epilogo è beffardo e per certi versi sconvolgente.
In Cina siamo a corto di tutto ma non di persone”, come per dire che l’essere umano è soltanto un numero e ce ne sono davvero tanti disposti a lavorare in condizioni pietose anche per pochi soldi. Con un piglio al limite del documentaristico, Li Yang ci sbatte in faccia le disparità e le esasperazioni di un paese fagocitato dal progresso, dove il guadagno facile è il motore sempre acceso del capitalismo. Un sistema marcio che contamina soprattutto chi lo subisce quotidianamente, ovvero gli ultimi anelli di una catena indistruttibile (morto un minatore, ne subentra un altro e tutto procede come se non fosse accaduto nulla).
“Blind Shaft” (premiato nel 2003 con l’Orso d’Argento a Berlino) ci rende emotivamente meno partecipi rispetto alla tragedia del successivo “Blind Mountain”, ma è un film a suo modo scioccante poiché non offre alcuna scappatoia allo spettatore: qui l’uomo avido e calcolatore diventa il protagonista indiscusso di una realtà raccontata in modo sobrio e asciutto, con uno spirito molto più underground rispetto al cinema di Jia Zhangke (“Il Tocco Del Peccato” tende ad esempio a spettacolarizzare alcune situazioni). Al contrario, un altro regista scomodo come Zhao Liang sembra aver assimilato non poche idee da questa pellicola (imperdibile il suo “Behemoth”). Sondare il nero rovescio della medaglia è un atto di coraggio, la Cina purtroppo è anche questa.

3,5

(Paolo Chemnitz)

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