Mudhoney

mudhoneydi Russ Meyer (Stati Uniti, 1965)

Nonostante “Mudhoney” e “Faster, Pussycat! Kill! Kill!” siano usciti entrambi nel 1965, lo spirito che attraversa queste due opere è sostanzialmente differente: il primo film si può infatti considerare una sorta di appendice estrema del già controverso “Lorna” (1964), un affondo ancora più duro nella vecchia provincia americana in cui le donne sono considerate un mero oggetto sessuale. Al contrario, “Faster, Pussycat! Kill! Kill!” capovolge ogni punto di vista, aprendosi a un cinema (s)exploitation più brillante e sboccato, dove l’eroina di turno (in questo caso una cazzutissima Tura Satana) fa il bello e il cattivo tempo davanti alla telecamera. Un cult movie assoluto che ha messo in ombra, un po’ ingiustamente, questa pellicola abbastanza sottovalutata.
La storia si svolge in un piccolo paese del Missouri nel 1933, durante gli anni della grande depressione: qui arriva Calif (John Furlong), un ex detenuto che ha deciso di rifarsi una vita mettendosi in viaggio dal Michigan verso la California. Calif si ferma in una fattoria dove trova lavoro, innamorandosi della nipote (Hannah) del proprietario (Lute), a sua volta sposata con il rude Sidney, un redneck violento e alcolizzato. Lute è comunque favorevole a questa nuova relazione, considerando che Sydney è un opportunista che vuole mettere quanto prima le mani su quel possedimento e sui soldi dell’uomo. Ovviamente gli eventi degenerano, in attesa di un epilogo di grande intensità tra i migliori mai girati dal regista americano.
One man’s evil can become the curse of all”, con questa frase Russ Meyer ci ricorda quanto il male possa essere contagioso all’interno di una piccola comunità: un mondo retrogrado nel quale prevalgono gli impulsi irrazionali, una violenza latente alimentata da predicatori, sceriffi, strambi contadini e altri personaggi al limite del grottesco. “Mudhoney” (a proposito, il celebre gruppo di Seattle ha preso il nome proprio da questo film!) è un lavoro verboso e volutamente convulso, un caos animalesco che sfocia sovente nel caricaturale senza però mai perdere di vista il suo intento principale, ovvero quello di farci assaporare il degrado umano e sociale in cui versava l’America rurale negli anni trenta. Non a caso il regista statunitense attinge da “Furore” (uno splendido lavoro di John Ford uscito nel 1940), un lungometraggio ambientato proprio durante l’epoca del proibizionismo e della grande depressione.
Infine una piccola curiosità: in Texas ancora oggi esiste una piccola cittadina dove “Mudhoney” è proibito, una copia del film è infatti tuttora custodita in un deposito del luogo rigorosamente chiuso a chiave. Quanto ci piace quando la censura si incazza.

3,5

(Paolo Chemnitz)

mudhoney1

 

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