di Ron Underwood (Stati Uniti, 1990)
Nonostante “Tremors” abbia avuto la bellezza di cinque sequel, oggi, a distanza di trent’anni esatti dalla sua uscita, resta un film che ha chiuso un’epoca. Ci troviamo nel 1990 ma quello di Ron Underwood non è un lavoro che guarda avanti: anche con il senno di poi, questa pellicola ci appare come un’appendice di tante cose già viste in passato, un intruglio comunque ben riuscito che mescola il cinema degli animali assassini con quello sci-fi degli anni cinquanta, senza dimenticare un fondamentale approccio da horror-comedy di deriva 80s.
Che si tratti di un film divertente ce ne accorgiamo fin da subito, quando facciamo conoscenza dei due simpatici protagonisti: uno si chiama Valentine McKee (un giovane Kevin Bacon), l’altro Earl Bass (Fred Ward), una coppia di operai che si muove nel deserto del Nevada per eseguire alcuni lavoretti di routine. I dialoghi sono brillanti, un po’ cazzoni e rispecchiano alla perfezione il carattere di questi due personaggi, ormai stufi di vivere nel piccolo villaggio di Perfection. Improvvisamente qualcosa di strano accade da quelle parti, vengono infatti ritrovati i cadaveri di alcuni esseri umani e di un intero gregge di pecore, c’è qualcosa di orribile che striscia sotto la sabbia e non ci mettiamo molto a capire cosa sia. Le creature sotterranee di “Tremors”, chiamate comunemente graboid, sono dei vermoni carnivori molto pericolosi capaci di uccidere uomini e bestie una volta attirati dalla minima vibrazione del suolo. Il film dunque si trasforma in una sorta di pellicola d’assedio, dove i pochi abitanti del paese per salvare la pelle devono ricorrere ai più ingegnosi stratagemmi.
Può sembrare un paragone azzardato, ma le tante aggressioni presenti nell’opera non sono poi così distanti da quelle viste nel cult “Lo Squalo” (1975). Non a caso si pensò a “Land Sharks” come a uno dei possibili titoli del film. L’oceano qui diventa il deserto mentre i denti affilati dello squalo vengono sostituiti dalle orrende fauci di questi mostri primordiali che sbucano dal sottosuolo (esseri presumibilmente ispirati ai vermi del “Dune” lynchiano). Gli effetti speciali funzionano alla grande, mentre un ritmo abbastanza sostenuto ci permette di assaporare al meglio le disavventure dei nostri, due aspetti importanti che ovviamente sopperiscono agli immancabili stereotipi di turno (personaggi monodimensionali e un finale più che telefonato).
Dimentichiamoci perciò la scia poco allettante (in cui bisogna includere pure una serie televisiva) che ha cercato di sfruttare il successo del primo capitolo, “Tremors” è questo e non si discute, un prodotto artigianale che nel 1990 stacca il biglietto per entrare nella storia. Uno spasso.
(Paolo Chemnitz)