di Adrian Goiginger (Austria/Germania, 2017)
Lunga vita al cinema indipendente, soprattutto se riesce a regalarci opere così vive come questo “The Best Of All Worlds” (“Die Beste Aller Welten”), una produzione austro-germanica di altissimo livello già acclamata in molti festival internazionali. Un film ispirato a una storia vera accaduta verso la fine degli anni novanta a Salisburgo, una città gioiello solitamente accostata alla musica classica (Mozart nacque qui nel 1756). Eppure ogni medaglia ha il suo rovescio oscuro, lo abbiamo visto in tante pellicole girate a due passi da un mondo (in apparenza) perfetto, pensiamo ai bambini di “The Florida Project” (2017) e alla loro difficile quotidianità all’ombra di Disney World.
Adrian è un ragazzino piuttosto sveglio di soli sette anni, un bimbo che sogna di diventare un avventuriero con l’arco e le frecce. Durante le prime immagini lo vediamo sul ciglio di un fiume, insieme alla madre (Helga) e a un gruppo di persone adulte: un momento di festa che invece nasconde un’amara verità, perché gli individui lì presenti si stanno iniettando dell’eroina nelle vene. Adrian vive costantemente a contatto con questa realtà, la mamma lo adora ma nella sua casa spesso entrano questi personaggi a dir poco ambigui, un serio pericolo considerando che i servizi sociali stanno monitorando attentamente tale precaria situazione. La stessa Helga come se fosse un gioco prepara delle pozioni di oppiacei davanti agli occhi del figlio, un comportamento irresponsabile che a lungo andare sfocia nella tragedia.
Adrian Goiginger (bravo regista e abile sceneggiatore) incolla la telecamera su queste figure cariche di vuoto esistenziale ma anche di forti emozioni, facendoci vivere una storia avvincente sotto due diverse prospettive, quella di un ragazzino vivace pieno di fantasia (ma che bravo il piccolo attore Jeremy Miliker!) e quella di un genitore costretto a combattere contro la sua tossicodipendenza: questa mamma (eccellente anche la prova di Verena Altenberger) è portatrice di un disagio che si riflette sia nel continuo disordine del suo appartamento sia nelle controverse presenze umane che si muovono attorno a lei (resta ben scolpita la scena in cui un suo amico sbandato cerca di far bere con la forza della vodka al povero Adrian).
Nonostante possa sembrare privo di speranza, quello di Helga e Adrian è il migliore dei mondi possibili (come suggerisce il titolo del film), ce lo ricorda soprattutto un finale struggente che ci regala uno spiraglio di luce dopo una lunga discesa verso le tenebre. Quello che accade prima è infatti un precario equilibrio nel quale il pericolo di farsi del male è molto di più di una semplice probabilità, è una strada da cui è impossibile tornare indietro. Questa pellicola ha praticamente tutto il necessario per essere amata fino all’ultimo respiro, perché un dramma familiare così intenso e sincero era da tempo che non si vedeva sullo schermo.
(Paolo Chemnitz)