Meatball Machine

meatball mdi Yudai Yamaguchi e Junichi Yamamoto (Giappone, 2005)

Con l’avvento del nuovo secolo, il grande immaginario cyberpunk del cinema giapponese subisce una notevole trasformazione, proiettandosi verso una nuova dimensione più ludica, colorata e sanguinosa. Nel 1999 Junichi Yamamoto realizza un cortometraggio significativo (“Meatball Machine”), un lavoro poi ampliato alcuni anni dopo con il medesimo titolo in compagnia di un altro regista, Yudai Yamaguchi. Agli effetti troviamo invece Yoshihiro Nishimura: ecco che dunque il cerchio si chiude, perché nel 2005 “Meatball Machine” diventa praticamente uno degli antipasti di quel cinema splatterpunk tanto in voga da lì a poco (pensiamo a pellicole come “The Machine Girl” di Noboru Iguchi o al più celebre “Tokyo Gore Police” del succitato Nishimura, entrambe del 2008).
Il tema dell’alienazione prende subito il sopravvento, pur essendo piuttosto abbozzato. Yôji è un ragazzo segretamente innamorato della giovane Sachiko: si tratta però di due individui solitari, incapaci di comunicare tra loro nonostante lavorino in fabbrica a pochi metri di distanza. Un giorno Yôji viene molestato dentro un cinema porno da un transessuale, per poi essere successivamente aggredito e lasciato a terra in mezzo alla strada. Proprio in quel momento accanto a lui cade dall’alto una sorta di corazza, la quale nasconde un terribile segreto, un parassita (chiamato necroborg) in grado di contaminare l’essere umano per annientarlo (“quando un corpo non ce la fa più, lo abbandonano e cercano un altro ospite”). Comincia così una battaglia senza esclusione di colpi tra i protagonisti del film e questo virus alieno che attinge a piene mani dal cinema sci-fi/horror che ha fatto epoca (“La Cosa” di John Carpenter o lo stesso “Alien” di Ridley Scott).
Con un budget tutt’altro che elevato i due registi fanno di necessità virtù, puntando quasi tutto sul gore (niente male!) e sulla fantasia, bypassando inoltre con qualche trucchetto (un montaggio frenetico) la lampante povertà coreografica durante i vari combattimenti. Anche la fotografia è poca cosa, ma “Meatball Machine” non vuole assolutamente prendersi sul serio, perché di fumettone si tratta e non potrebbe essere altrimenti.
Possiamo scomodare “Tetsuo” (1989) quanto ci pare, ma a parte qualche idea di base presa ovviamente in prestito, “Meatball Machine” è rivolto a un pubblico più giovane e meno impegnato: l’aggiornamento delle tematiche cyberpunk qui tende a salire in superficie lasciandosi alle spalle le importanti metafore lanciate dall’opera di Tsukamoto (e di chi lo ha seguito, per esempio Shozin Fukui). La coppia Yudai Yamaguchi e Junichi Yamamoto contamina quindi il body horror con un allucinante delirio splatter, senza preoccuparsi di sviluppare un collegamento profondo tra concetti ed estetica e flirtando addirittura con il melodramma in salsa anime. Ne scaturisce un prodotto indicato esclusivamente agli amanti delle follie giapponesi, gli altri possono tranquillamente passare oltre.

3

(Paolo Chemnitz)

meatball machine

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