Amour

amourdi Michael Haneke (Austria/Francia, 2012)

“Amour” è l’ultimo vero masterpiece girato da Michael Haneke, oltre a essere uno dei film più toccanti e strazianti realizzati nel corso dello scorso decennio. Non possiamo infatti negare che il successivo e recente “Happy End” (2017) sia stato soltanto un buon prodotto ma nulla per cui urlare al capolavoro, al contrario della pellicola in esame, per giunta vincente su ogni fronte possibile (miglior film straniero agli Oscar, Palma d’Oro a Cannes e una serie infinita di riconoscimenti in giro per il mondo).
Al contrario della vicenda corale vista nel precedente “Il Nastro Bianco” (2009), in “Amour” il regista austriaco sceglie una location intima, l’appartamento di una coppia di ottantenni: in passato Georges e Anne sono stati insegnanti di musica e oggi si godono la pensione leggendo o assistendo a qualche concerto, una fase della vita in apparenza serena a volte condivisa con alcuni ex allievi o con la figlia Eve (Isabelle Huppert), la quale ogni tanto si reca in visita dai suoi genitori. Quando un ictus improvviso colpisce Anne, il devoto marito Georges si ritrova a dover affrontare con coraggio e dignità questa situazione molto complicata, una serie di difficoltà dettate dal fatto che l’uomo è in età avanzata mentre le condizioni della donna peggiorano di giorno in giorno.
sourceMichael Haneke (all’epoca settantenne) ha trasformato in opera d’arte un patto segreto condiviso con la moglie: un’eventuale malattia, nel possibile, non deve per forza separare due persone che si vogliono bene. Finire sul letto di un ospedale o dentro una casa di riposo è ciò che non dovrebbe mai succedere, la promessa quindi è quella di fare di tutto per evitare che accada una cosa del genere. Cos’è dunque l’amore? Probabilmente è sapersi sacrificare mostrando il nostro volto più umano e sorridente a chi ci sta accanto, accettandone il dolore. Per questo motivo “Amour” non è un semplice film che parla di una fine imminente, ma è una pellicola che scava a fondo nei meandri della sopportazione (della sofferenza altrui), del conforto e delle reazioni di chi è protagonista di tali eventi.
Dal momento in cui la situazione comincia a precipitare, Georges e Anne restano rinchiusi in quelle stanze quasi inaccessibili, non a caso anche la presenza di Eve la percepiamo come un’irruzione (non richiesta) nella loro silente discesa nel baratro (“things will go on, and then one day it will all be over”). Haneke, con le sue inquadrature lunghe e glaciali, evita di scivolare nella commiserazione o nel più vacuo sentimentalismo, lasciando sospeso ogni giudizio come se l’ultima parola spettasse alle nostre riflessioni postume. Sopra ogni cosa, rimane ben impressa l’interpretazione di una magistrale Emmanuelle Riva (purtroppo scomparsa nel 2017) e del gigante Jean-Louis Trintignant, colui che ha suggerito a Michael Haneke il titolo del film (che inizialmente si sarebbe dovuto intitolare “The Music Stops”). “Amour” è un lungometraggio veritiero, inesorabile, tragico nella sua voluta staticità, un’opera che non lascia spazio alla consolazione pur onorando e rispettando il ruolo ultimo di uno dei due coniugi, quello di angelo custode.

5

(Paolo Chemnitz)

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