di Damiano Damiani (Italia/Francia, 1971)
Damiano Damiani, oltre a essere stato uno dei migliori registi italiani di sempre, è stato pure un attento osservatore della realtà sociale e politica circostante, uno sguardo tramutatosi nel cosiddetto cinema di impegno civile (in tal senso i nostri titoli preferiti sono “Il Giorno Della Civetta”, “Confessione Di Un Commissario Di Polizia Al Procuratore Della Repubblica” e l’amarissimo “Io Ho Paura”). Senza mai snaturare il suo approccio, Damiani è riuscito anche a spostare alcuni equilibri pur mantenendo inalterata la sua critica trasversale alle istituzioni, come ad esempio è accaduto in “L’Istruttoria è Chiusa: Dimentichi”, un prison movie atipico per diversi aspetti.
In seguito a un incidente stradale, l’architetto Vanzi (Franco Nero) finisce in carcere in attesa di giudizio con l’accusa di omicidio colposo e omissione di soccorso. Qui è costretto a scontrarsi con la violenza dei vari detenuti, con i metodi repressivi delle guardie e infine con un perverso complotto di cui è vittima un suo nuovo compagno di cella (Riccardo Cucciolla interpreta Pesenti). In questo mondo dove prevalgono omertà e regole non scritte, Vanzi si ritrova davanti a un bivio: entrare a far parte del meccanismo oppure rifiutarlo mettendo a rischio la propria incolumità? I tentennamenti non mancano (“io sarò diverso quando sarò fuori, qui sono come loro”), in attesa che un finale cinico e beffardo sposti la bilancia soltanto da una parte.
“L’Istruttoria è Chiusa: Dimentichi” gode di molte peculiarità tutte tipicamente italiane, tra le quali la fondamentale presenza di vari caratteristi (ognuno con il proprio accento) capaci di donare un tocco folkloristico alle vicende. L’eccezionale e singolare carica dei tanti personaggi ricama attorno al protagonista un piccolo universo ricco di sfumature, un microcosmo insidioso ma anche (sotto alcuni aspetti) divertente. All’interno di questo variegato tessuto, non mancano gli affondi tipici del regista atti a smascherare il marcio presente nelle istituzioni, nella borghesia (incarnata dallo stesso Vanzi, più volte definito una brava persona) e nei valori condivisi dai cittadini, che siano uomini in divisa o semplici carcerati nulla cambia.
Ispirato al romanzo “Tante Sbarre” di Leros Pittoni, questo lungometraggio resta ancora oggi fortemente attuale, proprio perché Damiani non arretra mai di un passo in un decennio (i 70s) ricco di controversie sociali e politiche. Esattamente come quello in cui viviamo oggi. Inoltre il regista ci sbatte in faccia una realtà carceraria tanto ambigua quanto deprimente, lasciando esplodere il clima teso e minatorio della pellicola in una scena cruenta che rimane ben impressa anche dopo i titoli di coda. Da vedere e rivedere, come tanti, troppi film del compianto Damiani.
(Paolo Chemnitz)
Ecco qui un altro regista che purtroppo nessuno cita mai quando si parla di cinema italiano. Questo film poi riesce a rimanerti impresso per le tematiche che tratta e soprattutto il modo molto diretto con cui ne parla. Ottimo consiglio!
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Mi sono sempre chiesto che rapporto c’era tra questo film e quello di Nanny Loy con Sordi ‘Detenuto in attesa di giudizio’ girato lo stesso anno.Ci sono molti spunti simili (e anche tante differenze) impossibili da non notare
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