Wounds

woundsdi Babak Anvari (Gran Bretagna, 2019)

I lunghi tentacoli di Netflix hanno raggiunto anche Babak Anvari, regista di origine iraniana (ma residente in Inghilterra) che nel 2016 si era messo in luce con il valido “Under The Shadow”, una sorta di risposta mediorientale – con implicazioni legate alla guerra – al più celebre “The Babadook” (2014). Con “Wounds” cambiano molte cose, perché Anvari ci trasporta in un presente storico dove il sovrannaturale stavolta è legato a doppio filo con la tecnologia, un soggetto intrigante per un film ancora più ambizioso del suo predecessore.
New Orleans: Will (Armie Hammer), un uomo relativamente giovane diviso tra il pub dove lavora e un rapporto ormai in crisi con la moglie, trova un cellulare all’interno del locale, un telefono che apparteneva a un gruppo di ragazzi capitati per caso in mezzo a una rissa. Improvvisamente la vita di Will subisce un cambiamento drastico, da quello smartphone egli infatti comincia a ricevere degli strani messaggi, a volte accompagnati da immagini crude e disturbanti. Allucinazioni? No, è il male che inizia a manifestarsi attraverso alcuni segnali che trascendono o distorcono la realtà (la lenta invasione degli scarafaggi oppure quella ferita sul volto dell’amico Eric). Una negatività insita nella tecnologia ma anche nell’uomo stesso, in questo caso un protagonista infelice che non trova pace nella sua relazione (Will cerca una nuova avventura con Alicia, interpretata da una brava Zazie Beetz vista di recente in “Joker”).
Con uno script dello stesso Anvari adattato al racconto “The Visible Filth” di Nathan Ballingrud, “Wounds” parte in maniera decisamente convincente, presentandoci dei personaggi interessanti (nel cast c’è anche Dakota Johnson) che mantengono alta la nostra attenzione per tutta la durata dell’opera: il ritmo non manca e le atmosfere sono quelle giuste, ma una volta all’interno di questa spirale dai contorni surreali, l’opera mostra qualche cedimento proprio a livello di sceneggiatura, poiché il collante tra questo viaggio all’inferno e il dramma quotidiano di Will risente di eccessive forzature. Ne scaturisce un lavoro troppo criptico per essere apprezzato da un pubblico generico appassionato di horror, nel quale il costante riferimento allo gnosticismo – l’entrata in contatto con gli Eoni, esseri intermediari fra Dio e il mondo – diventa un passaggio cruciale pur lasciando più dubbi che risposte (finale incluso).
Babak Anvari dimostra comunque di possedere personalità e ancora una volta ci offre un prodotto ricco di spunti per la riflessione, peccato soltanto che l’orrore di “Wounds” non sia messo a fuoco come invece era avvenuto nel precedente “Under The Shadow”. “C’era un rituale, abbiamo aperto un portale, qualcosa è arrivato e ci ha posseduto. L’hai chiamato a casa tua, ora vede che sei il tramite perfetto per andare oltre”. Dispiace che la metafora dietro questi folli accadimenti sia eccessivamente ambiziosa, tuttavia un ipotetico sequel potrebbe spiegarci meglio tante cose: per adesso accontentiamoci di questo affascinante quanto malsano baratro, un nero abisso privo però di dettagli e di profondità.

3

(Paolo Chemnitz)

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