Sweet Sweetback’s Baadasssss Song

sweet sweetbackdi Melvin Van Peebles (Stati Uniti, 1971)

Questo film è dedicato a tutti i fratelli e le sorelle che ne hanno abbastanza dell’uomo bianco”, con questa frase prende forma il cinema blaxploitation: un cinema indipendente, politico (almeno qui), rivoluzionario e in netta controtendenza con quello di Hollywood. Una partenza fulminante che ha poca voglia di scherzare, non a caso “Sweet Sweetback’s Baadasssss Song” era sostenuto e caldamente consigliato dal famigerato movimento delle Pantere Nere. Il ghetto apprezzava e applaudiva, i neri delle classi borghesi invece si rivolgevano ad altro.
Un piccolo orfano afroamericano viene accolto in un bordello e iniziato al sesso da una prostituta, la quale durante il rapporto sessuale lo chiama Sweetback: questa scena altamente controversa dà il via a un lavoro fuori da ogni schema, in cui la narrazione si sviluppa molto flebilmente attorno a un costante bombardamento di immagini per lo più sudicie e sgranate. Una volta adulto, Sweetback diventa un gigolò e si infila nelle situazioni più squallide, fino a quando non viene arrestato con l’accusa di aver assassinato un uomo. Da qui comincia una fuga decisamente sui generis, dove il sesso e la violenza ci accompagnano fino al sorprendente epilogo, nel quale le luci al neon della città vengono sostituite dal deserto. Un luogo che non ferma affatto il nostro protagonista, destinato a prendersi la sua rivincita.
Se vogliamo parlare di cinema indipendente nel vero senso del termine, non potrebbe esserci opera migliore di questo “Sweet Sweetback’s Baadasssss Song”. Un gruppo di attori non professionisti, un controllo totale del prodotto da parte del regista e tante curiose storie di contorno da raccontare: due in particolare, a cominciare dalla troupe che girava armata sul set di Los Angeles per evitare qualche brutto incontro, fino alla gonorrea contratta dal regista (Melvin Van Peebles interpreta il protagonista) durante uno dei vari rapporti sessuali che si vedono nel film. Ovviamente all’epoca vietato ai minori.
La regia sperimenta in lungo e in largo, grazie all’uso della camera a mano e di un montaggio altamente frenetico, mentre – come in tante opere del filone blax – la colonna sonora di taglio funky è molto più di un semplice accompagnamento. Nel caso di “Sweet Sweetback’s Baadasssss Song” la valutazione complessiva tiene conto dell’indiscusso valore storico della pellicola, un lavoro di assoluta importanza ma di difficile fruibilità, considerando l’originale approccio di Van Peebles (uno che guardava anche alla Nouvelle Vague francese!). Ci troviamo davanti al manifesto politico della blaxploitation, un sottogenere che da lì a poco imboccherà strade molto diverse tra loro, passando per la parodia (“Blacula”), per l’horror rituale (lo straniante “Ganja & Hess”) o per le eroine in salsa action di Jack Hill (la mitica Pam Grier di “Coffy” e “Foxy Brown”). Spike Lee, Quentin Tarantino (e non solo) hanno preso molti appunti da queste pellicole. “Sweet Sweetback’s Baadasssss Song”, tra le tante, è la più complessa e articolata, ma vale decisamente la pena conoscerla.

4

(Paolo Chemnitz)

sweet s

 

 

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