di Mauro Bolognini (Italia, 1977)
La storia di Leonarda Cianciulli (1894-1970) ha dell’incredibile, eppure soltanto un secolo fa in un piccolo paesino dell’Irpinia l’allora giovane Leonarda era già maritata e stava affrontando una sorta di maledizione (le sue prime tredici gravidanze finirono con tre aborti spontanei e con dieci neonati morti nella culla). Anche per questo motivo Leonarda era attaccatissima al suo primogenito, un amore morboso che la spinse a uccidere tre ingenue vittime che spesso le facevano visita a casa, tre donne i cui corpi vennero poi smembrati e in parte riutilizzati (il risultato era costituito da saponette e da dolcetti che la psicopatica offriva agli amici). Nasce così La Saponificatrice di Correggio (dal paese emiliano in cui la Cianciulli si trasferì dopo il 1930), un soprannome che molti di voi conosceranno considerando che stiamo parlando di una famigerata assassina seriale italiana. Un mix allucinante di pazzia e di superstizione, poiché la protagonista di queste controverse vicende era convinta che solo attraverso i sacrifici umani il figlio non sarebbe partito per il fronte durante la guerra.
Nel 1977 Mauro Bolognini gira la pellicola che non ti aspetti, un’opera liberamente ispirata ai tragici delitti della Cianciulli che però fin dall’incipit tende a sottolineare il carattere universale degli eventi (“è il mistero della follia non individuale ma collettiva”). Lo spirito che attraversa “Gran Bollito” è assolutamente unico, si tratta infatti di un dramma cangiante che ingloba al suo interno gli elementi più disparati: la farsa, la commedia nera, l’horror e il grottesco, una miscela esplosiva resa tale soltanto grazie a un cast folgorante, dove troviamo la star Shelley Winters nei panni di Lea (doppiata magnificamente con un magnetico quanto teatrale accento campano da Regina Bianchi), Max Von Sydow, Renato Pozzetto e Alberto Lionello (qui impegnati in un doppio ruolo maschile e femminile), poi ancora Laura Antonelli, Milena Vukotic (impeccabile anche come serva ritardata) e Liù Bosisio (ops, le due mogli di Fantozzi tutte nello stesso film!).La scena la ruba quasi completamente la Winters, una madre terribile che già in passato si era trovata a proprio agio nelle vesti di sadica manipolatrice (“Il Clan Dei Barker”). Il suo personaggio è praticamente perfetto, uno sguardo lucido che si muove all’interno di una casa degli orrori che sembra la risposta gotico-padana a quella britannica di “Nero Criminale” (1974), proprio per via delle scenografie tetre e volutamente scarne. Al di là quindi di alcuni siparietti divertenti (Pozzetto che canta), “Gran Bollito” si rivela una pellicola macabra, claustrofobica e intrisa di elementi perturbanti (geniale nonché bizzarra l’idea di far interpretare a tre uomini il ruolo delle vittime femminili).
In questo caso parlare di film biografico sarebbe alquanto riduttivo e fuorviante, Mauro Bolognini infatti alza il tiro a più riprese deviando la realtà verso coordinate surreali che da sole valgono il prezzo del biglietto: “Gran Bollito” è dunque uno dei prodotti nostrani più originali fuoriusciti dal fertile periodo di riferimento (la seconda metà dei 70s), un lungometraggio curioso, anomalo e malaticcio, un elisir di grottesche e insanabili patologie che mostra i segni del tempo soltanto in qualche lungaggine di troppo. Sapone, pasticcini e cannibalismo, Leonarda Cianciulli si è davvero superata, un plauso alla sua fantasia e a quella del bravo Bolognini.
(Paolo Chemnitz)