Quel Freddo Giorno Nel Parco

quel freddo giorno nel parcodi Robert Altman (Stati Uniti/Canada, 1969)

Tra i film meno conosciuti di Robert Altman c’è questo uggioso thriller di tutto rispetto, una pellicola che indaga sulla psicologia femminile incarnando il primo tassello di un’ipotetica trilogia del regista dedicata alle donne. Non donne qualunque, ma personalità complesse e spesso indecifrabili, come poi abbiamo visto nella dirompente follia di “Images” (1972) o nel pericoloso triangolo del superbo “3 Women” (1977).
Ci troviamo a Vancouver, in Canada, durante una giornata piovosa: dalle fessure della finestra la ricca Frances Austen (Sandy Dennis) scorge un ragazzo seduto su una panchina, senza riparo e fradicio d’acqua. La donna decide così di aiutarlo, facendolo entrare nella sua bella villa e offrendogli un riparo, un bagno caldo e dei viveri. Tutto questo può sembrare paradossale, ma Frances è disperatamente sola e la compagnia di qualcuno le riesce a strappare un sorriso sulle labbra, nonostante il giovane sia apparentemente muto. Con il trascorrere dei minuti “Quel Freddo Giorno Nel Parco” (“That Cold Day In The Park”) sviluppa sia una certa ambiguità nei due personaggi principali che una tensione sessuale dapprima latente e in seguito esplicita, visto che Frances si infatua dell’uomo, addirittura segregandolo tra quelle mura per non farlo più andare via.
Il film, tratto da un romanzo di Richard Miles, è dolorosamente claustrofobico: la solitudine in cui vive la protagonista è un mondo grigio ricco di inquietudini, ne consegue quindi una chiusura verso l’esterno che il regista riesce perfettamente a descrivere attraverso minuziose inquadrature, come se la casa di Frances non fosse altro che una prigione senza vie di fuga (lo sguardo oltre le veneziane, le porte chiuse, la plumbea atmosfera generale). Il desiderio della donna è uno solo e lo percepiamo fin da subito, quando durante un pranzo in cui alcune persone discutono, Frances è invece rapita dall’oggetto che la incuriosisce, perché il ragazzo senza nome è prima di tutto una cosa da conquistare (soltanto successivamente il suo carattere acquisisce forma e spessore psicologico).
Robert Altman dirige un lungometraggio decisamente morboso e controverso per l’epoca, anticipando quindi alcune tematiche che ritroveremo pochi anni dopo sempre nel suo cinema: se però “Images” si dimostra più audace e caleidoscopico, “Quel Freddo Giorno Nel Parco” – nel suo lento e avvolgente incedere – mostra una grande attenzione per la caratterizzazione dei due mattatori del film, entrambi inseriti all’interno di una quotidianità difficile e irrisolta. Un delirio interiore che stavolta affonda i suoi artigli nei freddi appartamenti di una borghesia insoddisfatta, infelice, imprigionata nelle sue stesse (auto)imposizioni. Noi rimaniamo impassibili davanti a questo senso di oppressione latente, perché nonostante una certa immobilità di fondo dal punto di vista narrativo, Altman con la sua regia è capace di tenerci incollati alla poltrona per quasi due ore.

3,5

(Paolo Chemnitz)

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