Take Me To The River

take me to the riverdi Matt Sobel (Stati Uniti, 2015)

Per un regista indipendente americano quello del Sundance Festival è un trampolino di lancio di fondamentale importanza. Anche Matt Sobel nel 2015 è passato da queste parti, il suo esordio però lo possiamo considerare come una meteora scomparsa nel giro di poco tempo. Strano, perché “Take Me To The River” ha una storia perfetta per il pubblico del Sundance, da sempre appassionato a quelle tematiche un po’ morbose che dipingono la controversa provincia americana (segreti familiari, mentalità ristretta, discriminazioni sessuali e razziali). Gli ingredienti ci sono tutti, peccato che alla pellicola in questione manchi uno script degno delle iniziali premesse.
Un’automobile è in viaggio durante la notte: al suo interno un padre, una madre e un ragazzino di diciassette anni, Ryder (“mamma, hai detto ai parenti del Nebraska che sono gay?”). Meglio evitare, perché da quelle parti ci sono ancora forti pregiudizi contro gli omosessuali. I protagonisti (provenienti dalla California) si stanno recando a una grande riunione di famiglia, l’occasione per incontrare zii, cugini, nonni e altri consanguinei in un posto lontano dal mondo, in aperta campagna. La contrapposizione California/Nebraska è immediata, così come quella tra il giovane Ryder (Logan Miller) e gli altri suoi coetanei, piuttosto interdetti dal suo look tutt’altro che sobrio (almeno secondo le loro abitudini). Durante una normale passeggiata di routine con la cuginetta di nove anni, Ryder si trova davanti a una situazione imbarazzante: la piccola scappa via da lui piangendo (in seguito a una perdita di sangue dalle parti intime), mentre il ragazzo viene accusato dal padre di lei di aver fatto qualcosa di brutto alla bambina. Venti minuti iniziali di buon livello, molto tesi e già capaci di incollarci allo schermo, prima che “Take Me To The River” prenda una piega del tutto inaspettata.
In questo lungometraggio poteva accadere qualunque cosa: una faida tra famiglie, l’esplosione di una violenza incontrollata o il tanto atteso outing del giovane Ryder, invece no, “Take Me To The River” finisce per accartocciarsi su se stesso, virando prima sul dramma psicologico e infine su un ribaltamento di ruoli piuttosto forzato e inverosimile. Tutto ciò per rivelare un segreto familiare ben più scabroso del disagio di un ragazzino perso nelle fauci di una comunità tradizionalista, una confessione (ambigua e velata da mille dubbi) per certi versi sconvolgente ma priva di qualunque elemento preparatorio, perciò a conti fatti innocua.
Matt Sobel poteva osare di più, soprattutto nella timida parte centrale in cui accade davvero poco, nonostante il suo discreto lavoro dietro la mdp e un manipolo di attori alquanto convincente, capace di catalizzare l’attenzione anche nei momenti meno brillanti. Sono però troppe le amnesie di cui soffre la pellicola, purtroppo poco credibile nel suo svolgimento, un’ombra costante che penalizza quello che poteva essere un bel film. Sulla carta lo è, ma non basta per raggiungere la sufficienza.

2,5

(Paolo Chemnitz)

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