di Tsai Ming-Liang (Taiwan, 1992)
L’esordio di Tsai Ming-Liang (classe 1957) è un film che non si dimentica. Con “Rebels Of The Neon God” (“I Ribelli Del Dio Neon”) il regista malese naturalizzato taiwanese entra nel gotha del cinema locale e da lì a poco irrompe nel grande giro dei festival internazionali, mettendosi sulla scia di Hou Hsiao-Hsien (il capostipite della Nouvelle Vague di Taiwan) ma soprattutto di Edward Yang, un cineasta capace di esplorare il rapporto tra individuo e metropoli attraverso quel destino solitario immerso tra le architetture postmoderne della città di Taipei. Anche questo lungometraggio è infatti incastonato nella giungla urbana di Taipei, un meccanismo alienante qui raccontato seguendo la vita di alcuni adolescenti alla deriva.
L’incipit è molto potente: il giovane studente Hsiao-Kang, seduto nella sua camera, infilza una blatta con la punta di un compasso, poi si taglia un polso dopo aver accidentalmente spaccato un vetro e infine discute accesamente con i suoi genitori, con i quali è in pessimi rapporti. In seguito abbandona gli studi, tenendo nascosta questa scelta alla sua famiglia. Per il protagonista inizia così un’avventura tra le strade della città, prima pedinando due teppistelli nei loro atti di vandalismo e successivamente seguendo il rapporto di uno di essi con una tipa di nome Ah Kuei.
Tsai Ming-Liang descrive con pochi movimenti di camera e con un minimalismo esasperato (i dialoghi sono veramente esigui e la sceneggiatura è risicata) tutta la solitudine in cui vivono questi teenagers, testimoni spesso passivi di una realtà quotidiana che tende a fagocitarli. Questo rigore bressoniano prende le distanze da qualunque deriva mainstream, anche per via di un substrato nichilista che non tarda a emergere durante la visione. Inoltre Taipei viene ripresa più volte sotto una pioggia battente, un elemento acquatico che ritorna con prepotenza durante gli allagamenti nell’appartamento di Hsiao-Kang, a voler testimoniare un disagio complementare sia all’interno che al di fuori della propria casa. Lo sguardo distaccato del regista aumenta il senso di spaesamento, in un vortice di luci al neon dove al progresso corrisponde la desolazione, una lenta discesa nella malinconia e nel grigiore dell’esistenza. “Rebels Of The Neon God” è solo un debutto ma si presenta già come un film maturo, consapevole, concettualmente carico di significati e di sofferenza.
Tsai Ming-Liang riuscirà a farsi notare definitivamente con i successivi “Vive L’Amour” (1994), “Il Fiume” (1997), “The Hole” (1998), “Il Gusto Dell’Anguria” (2005) o il monumentale “Stray Dogs” (2013), noi però abbiamo scelto di partire dalla sorgente, perché la carriera di questo regista non sarebbe stata tale senza questa solida base di partenza. Una strada già tracciata in passato da altre importanti personalità del cinema, ma in tal caso riletta con enorme sensibilità e con uno spirito puramente disincantato, un leitmotiv che ha sempre contraddistinto le pellicole di Tsai Ming-Liang. Dove si muovono dei fantasmi che silenziosamente contemplano il tempo che scorre, scivolando all’interno di esso senza lasciare la minima traccia al prossimo.
(Paolo Chemnitz)