di Doron Paz e Yoav Paz (Israele, 2018)
Negli ultimi anni anche il cinema di genere israeliano ha dato incoraggianti segni di vita, prima di tutto grazie ai validi lavori di Aharon Keshales e Navot Papushado (da ricordare per “Rabies” ma soprattutto per il successivo “Big Bad Wolves”). La grande possibilità però l’hanno avuta i Paz brothers, ovvero Doron e Yoav Paz, reduci dallo sconclusionato “Jeruzalem” (2015), film di cui si vocifera addirittura un sequel. Dietro il nuovo “The Golem” c’è infatti la distribuzione targata Netflix e un budget molto più ricco che in passato, una strategia ben studiata visto che oggi tentare la via del folk-horror sembra diventato un trend che garantisce consensi e attenzioni.
Secondo la leggenda, chi viene a conoscenza della Qabbalah, può fabbricare un Golem: un gigante forte e ubbidiente che può essere usato come servo o come difensore del popolo ebraico dai suoi persecutori. Una figura antropomorfa di argilla, una creatura molto celebre nella mitologia ebraica. L’incipit si svolge a Praga e rimanda direttamente al film del 1915 “Der Golem” (di cui esistono solo pochi frammenti), un’opera poi ampliata e riproposta dallo stesso regista Paul Wegener cinque anni dopo (“Der Golem, Wie Er In Die Welt Kam” è praticamente un antefatto del suo prototipo originale). La storia poi si sposta in un villaggio lituano del 1673, dove una piccola comunità ebraica è accusata di aver scatenato una pestilenza tra le popolazioni locali. Non si fa attendere la reazione di una donna (Hanna), la quale per difendere la sua terra evoca un Golem con il volto del suo bambino defunto, una mossa che però risulta difficile da controllare.
In partenza la pellicola ruota attorno al tema della persecuzione (non poteva essere altrimenti considerando l’origine dei due registi), un elemento che funziona più in un’ottica concettuale che nei risultati concreti: se infatti è impossibile non applaudire a una confezione impeccabile (ottimi i costumi e la fotografia), lo sviluppo degli eventi è talmente farraginoso che a tratti il rischio noia è dietro l’angolo. Quando poi le vicende entrano nel vivo (il sangue per nostra fortuna non manca), “The Golem” riesce a catturare la nostra attenzione senza però mai emergere con prepotenza con qualche colpo di genio. Tutto abbastanza nella norma, nonostante un’affascinante location rurale che a lungo andare diventa l’unico vero piacere per gli occhi.
Con il trascorrere dei minuti sale alla ribalta la figura della protagonista (una brava Hani Furstenberg), il cui dramma personale si affianca alla generica e forse troppo semplicistica classificazione horror che si può dare al film: non è quindi difficile intuire quanto “The Golem” sia anche un’indagine sulla femminilità, un riflesso che si manifesta attraverso questa creatura della tradizione ebraica (in tal caso rivisitata per via delle sembianze fanciullesche), un’entità che qui acquisisce maggiori significati rispetto a una banale presenza sovrannaturale a scopo vendicativo. Ma leggere l’opera dei fratelli Paz sotto questo punto di vista aumenta i rimpianti, perché di occasione mancata si tratta, al di là dei piccoli meriti della pellicola.
(Paolo Chemnitz)