Arancia Meccanica

arancia meccanicadi Stanley Kubrick (UK/Stati Uniti, 1971)

Censurato, vietato, oscurato per un quarto di secolo dalla televisione, eppure “Arancia Meccanica” lo hanno visto tutti, almeno una volta nella vita. Un raro esempio di cinema estremo approvato all’unanimità anche da chi non ama spingersi al di là del confine, perché se di “Arancia Meccanica” non ti interessa la (stratosferica) regia o la sua particolare rappresentazione della violenza, c’è sempre l’iconografia a catturare l’attenzione generale, una caratteristica che esula dal fatto che Stanley Kubrick sia stato uno dei più grandi registi di sempre. Ecco perché, a distanza di quasi cinquant’anni, “A Clockwork Orange” è un pezzo di storia e cultura entrato nell’immaginario comune: esattamente come “Shining” (1980) o come “Full Metal Jacket” (1987), c’è anche chi conosce questi titoli a memoria senza averne mai approfondito i significati o gli elementi estetici, una deriva popolare che ha consacrato la figura di Kubrick su due livelli, quello inscindibile dall’aspetto critico (quattro candidature agli Oscar del 1972 non sono poche) e quello mitizzato di natura mainstream. Una volta superato quest’ultimo banco di prova, qualsiasi pellicola – anche la più controversa – può fregiarsi del titolo di intoccabile. “Arancia Meccanica” è dunque un film intoccabile, anche da chi non pensa che sia così.
Questa breve retrospettiva si muove lungo due binari paralleli, uno legato alla materia cinematografica e l’altro connesso alla percezione pop che si ha del film, complice il suo sdoganamento su qualsiasi canale mediatico e artistico che si conosca. Lo facciamo attraverso un elemento fondamentale dell’opera, Alex DeLarge, il protagonista interpretato da uno spiritato Malcolm McDowell (“being the adventures of a young man whose principal interests are rape, ultra-violence and Beethoven”). Alex è un personaggio che piace, che suscita simpatia, eppure la nostra coscienza vorrebbe tanto che egli sia duramente punito dalle autorità, perché insieme ai suoi amici drughi ha pestato un barbone, ha stuprato una donna e ne ha uccisa un’altra. Un individuo infimo, eccitato dal famigerato latte+, una droga candida e innocente come quella divisa ambigua con cui Alex gira per le strade, un bianco che ritorna con prepotenza anche nelle scenografie di chiara matrice pop art.
tumblr_mdt209gn0q1rkevjso1_500Questo apparente candore, immerso in una visione del futuro distopica (ricordiamo che il soggetto del film nasce dall’omonimo romanzo di Anthony Burgess), scatena un dualismo che non ci abbandona mai per tutta la durata dell’opera, sia attraverso il contesto generale (le scenografie, le atmosfere, le suggestioni stesse) che attraverso il particolare, pensiamo ad esempio al naso fallico di Alex (l’atto di violenza affiancato da un modus operandi grottesco, esasperante ma anche dissacrante) o al suo unico occhio truccato, per mettere in luce già da subito un prima e un dopo. Il dualismo di “Arancia Meccanica” annulla così i confini tra bene e male, perché tutto si vivifica su due lati della stessa medaglia, in cui lo spettatore finalmente riconosce la vera natura dell’essere umano. Alex è infatti universale, perché siamo tutti potenziali criminali e viviamo tutti tra le maglie repressive del potere, ma possiamo essere anche lavati da ogni peccato e ributtati nella mischia come vittime sacrificali, senza comunque rinunciare alla nostra identità (che si paga a caro prezzo).
La parabola esistenziale di Alex è alla portata di chiunque, un cortocircuito irrazionale che libera quell’istinto animalesco insito nella specie umana: la società in cui viviamo ci mette nelle condizioni di diventare predatori, di infrangere i tabù, di uccidere per sopravvivere. Kubrick però esalta questo personaggio attraverso la cultura, l’estro, l’amore per la musica classica, rendendolo popolare nella forma ma elevandolo intellettualmente al di sopra di tutto, perché la Cura Ludovico non è altro che uno strumento del potere incapace di modificare l’indole delle persone. Puoi cambiare soltanto se ti adegui al sistema (i due drughi diventati poliziotti, metafora della violenza legale). Ne consegue che in “Arancia Meccanica” la ribellione del singolo si sposa perfettamente con la riflessione sociale, all’interno di un contesto pop in cui ogni fotogramma acquisisce un enorme valore iconografico.
Kubrick ci parla di pessimismo in termini filosofici e grotteschi, ma non rinuncia mai ai bisogni concreti dello spettatore, coinvolgendolo proprio grazie alla figura di Alex, il drugo, vestito come un mimo, come un artista di strada, come chi sta fingendo pur facendo tutto dannatamente sul serio. Come quando egli beve quel sorso di latte (un’azione naturale che non trasmette il disagio di una siringa infilata nel braccio), un alimento solitamente nel frigorifero di tante famiglie, un gesto pop dentro al quale Kubrick nasconde il suo universo parallelo (e ciò accade già nella prima scena). “Arancia Meccanica” appartiene a tutti, questa è la verità.

5

(Paolo Chemnitz)

arancia m

 

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