di Joel Potrykus (Stati Uniti, 2018)
“Relaxer” è un film girato dentro un solo ambiente, uno squallido appartamento che diventa sempre più lurido con il passare dei minuti. In questi casi non è facile mantenere alta l’attenzione dello spettatore per novanta minuti, ma Joel Potrykus ci riesce benissimo, intrattenendoci con una pellicola originale e bizzarra, divertente e sgradevole, lercia e persino apocalittica. Se provate a mettere insieme le sfide bislacche di “Jackass: The Movie” (2002) con il mondo reale/surreale di Harmony Korine, il risultato non sarebbe poi tanto dissimile da questo “Relaxer”.
Ci troviamo nel 1999, nel Michigan: dentro una stanza, Cam minaccia il fratello Abbie, obbligandolo a restare seduto sul divano mentre quest’ultimo è alle prese con l’ennesimo videogioco da portare a termine. Abbie non può alzarsi neppure per pisciare, così quando Cam si allontana per un istante il povero malcapitato la fa dentro una tanica da cui beve il latte. Cosa succede quando Cam ritorna? Costringe Abbie a bere da quel recipiente, con conseguente conato di vomito (a dir poco ributtante) del protagonista. Prima che sopraggiunga il famigerato millennium bug, per il giovane ragazzo c’è un’ultima sfida da compiere, ovvero abbattere il record di Pac-Man superando il livello 256 (“if you want to attach your name to a record, if you want your name written in history, you have to pay a price”). Da questo momento in poi prende vita un vero e proprio survival movie tra le mura di casa, ma non aspettatevi un intrattenimento di taglio videoludico (lo schermo con Pac-Man giustamente si vede col contagocce), perché Potrykus punta i riflettori quasi esclusivamente su Abbie e sulla situazione assurda e grottesca che si crea quando la fame inizia a farsi sentire o quando le blatte cominciano a sbucare sul pavimento.
Partendo dal rapporto completamente perverso tra un fratello sadico e bullo e una vittima apatica che accetta qualunque tipo di prevaricazione, “Relaxer” prende il volo attraverso una serie di ostacoli che agiscono al di fuori della sfida di Abbie con il videogame: in quel luogo accadono imprevisti sempre più strambi, creati apposta sia per movimentare una storia altrimenti noiosa, sia per aumentare il disagio stesso del protagonista, chiuso in una morsa dai contorni weird. Il finale, prevedibile ma allo stesso tempo infame come pochi, ci consegna un film davvero particolare, in cui il masochismo fa rima con il grottesco.
Joel Potrykus si stacca del tutto dalla commedia nerd (anche se durante le prime battute dell’opera qualcuno potrebbe pensare il contrario), tuffandosi in un vortice di nonsense che si apre al discorso della famiglia disfunzionale e a una notevole riflessione sulle dipendenze, in questo caso esercitate in maniera coercitiva. Un cinema intelligente che prende le giuste distanze dalla solita marmaglia indipendente che spesso ci propinano come qualcosa di rivoluzionario.
(Paolo Chemnitz)