A Brutal Game

abtdi Jean-Claude Brisseau (Francia, 1983)

Chissà se la recente scomparsa di Jean-Claude Brisseau (1944-2019) possa ridestare un minimo di interesse attorno alla sua carriera, da sempre ingiustamente sottovalutata almeno al di fuori dei confini francesi. Un cinema tormentato, fortemente drammatico e ricco di pulsioni quasi impenetrabili, nel quale l’erotismo gioca un ruolo a dir poco fondamentale. Potevamo dedicare questa breve retrospettiva al celebre “Noce Blanche” (1989) con Vanessa Paradis oppure ai più recenti “Il Potere Dei Sensi” (2002) o “La Fille De Nulle Part” (vincitore a Locarno nel 2012), invece abbiamo preferito focalizzarci sul controverso e disturbante “A Brutal Game” (“Un Jeu Brutal”), uno dei suoi primi morbosi lungometraggi.
Il professor Christian Tessier (Bruno Cremer) è un uomo autoritario che ha da poco abbandonato il lavoro di ricercatore per dedicarsi completamente alla figlia Isabelle (Emmanuelle Debever), costretta sulla sedia a rotelle fin dalla nascita. La ragazza è una ribelle, detesta l’umanità (i suoi discorsi sono pregni di nero esistenzialismo) e una volta obbligata a soggiornare in una casa di campagna, osserviamo crescere in lei una grande insofferenza, dettata sia dallo sconforto generale che dalla solitudine che deve affrontare ogni giorno. Brisseau approfondisce a dovere la psicologia della protagonista, la sua follia, i suoi scatti isterici e le sue scenate di gelosia (quando si invaghisce del belloccio di turno), mentre la presenza del genitore a un certo punto scivola via finendo in secondo piano (per poi riaffiorare successivamente), nonostante un retroscena piuttosto inquietante: in quella zona alcuni adolescenti sono stati uccisi da uno psicopatico e l’assassino è proprio il padre di Isabelle.
“A Brutal Game” segue uno schema rigido e distaccato, immergendo questi personaggi senza morale all’interno di una cornice bucolica complice silente di tali misfatti. Una prigione in cui ogni individuo lascia sfogare i suoi istinti repressi, non solo di natura sessuale, mettendo a confronto l’aspetto contemplativo con quello puramente violento e irrazionale. Un equilibrio che durante la prima parte del film mantiene viva una storia altamente pruriginosa e affascinante, per poi perdere un po’ di smalto nella fase conclusiva, nella quale il regista tende a chiudere in maniera sbrigativa alcune parentesi fondamentali su cui è basato il lavoro.
Sto osservando le persone. Dove potrei piazzare una bomba per ucciderne più possibile?”, è proprio la figura di Isabelle a trascinare le vicende della pellicola, una giovane dall’animo angosciato che vive quella condizione di invalidità come una condanna a morte senza appello. Per questo “A Brutal Game” è soprattutto un film triste, doloroso e tagliato in due da una continua disillusione, un’opera tuttavia baciata da una cinica eleganza che chiama in causa alcune reminiscenze bressoniane. Grazie poi alle ottime atmosfere (avvalorate da una sublime colonna sonora), Jean-Claude Brisseau porta a termine uno dei suoi prodotti più scorbutici e politicamente scorretti, a cui manca soltanto quel pizzico di sale per trasformare in oro le ottime premesse viste nella prima mezzora. Un lungometraggio ad ogni modo basilare per comprendere l’intrigante filmografia di questo regista che in pochi ricordano.

3,5

(Paolo Chemnitz)

abrutal

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