Belladonna Of Sadness

belladonna of sadnessdi Eiichi Yamamoto (Giappone, 1973)

Ribadire che “Belladonna Of Sadness” (“Kanashimi No Beradonna”) sia uno dei film di animazione più belli di sempre non è affatto esagerato. Perché in un periodo di grande fermento culturale come i primi anni settanta, non è facile trovare un titolo così poetico ma altrettanto potente nel raccontarci la ribellione di quell’epoca. Eiichi Yamamoto compie il miracolo chiudendo una trilogia cominciata con “La Principessa e lo Stregone” (1969) e poi proseguita con “Cleopatra” (1970), opere comunque ben lontane dal fascino senza tempo di “Belladonna Of Sadness” (la Belladonna – spesso associata al mondo della stregoneria – è una pianta che produce bacche velenose).
Ispirandosi al romanzo “La Sorcière” di Jules Michelet, il regista ci trasporta in un villaggio della Francia medioevale: qui Jeanne e Jean, una coppia di novelli sposi, è costretta a fare i conti con il barone del luogo, un despota che immediatamente stupra la donna facendole perdere la verginità. Terrorizzata dall’evento, Jeanne riprende le forze grazie all’intervento di uno spirito che le appare sotto forma di una creatura dalla testa fallica. Quando però la protagonista medita vendetta, una serie di eventi sconvolgono quella comunità (colpita anche da una terribile carestia), così Jeanne prima intraprende il mestiere di usuraia per poi sancire un patto con il diavolo, una comunione magica che le vale l’appellativo di strega.
3Quella di Eiichi Yamamoto è una pellicola dedicata all’emancipazione femminile, priva però di qualsiasi orpello pseudo-femminista a senso unico: Jeanne infatti non è affatto una santa e ricorre anche a losche strategie pur di difendere la sua dignità e quella di un marito incapace di reagire alle continue umiliazioni. Una donna guerriera che soffre e combatte ma che soprattutto si rifiuta di attenersi alle rigide imposizioni dell’epoca. Per questo motivo “Belladonna Of Sadness” si spinge al di là di ogni stereotipo, anche solo per le incredibili immagini (a volte statiche) che sprigionano un misto di poesia e dolore. Le tiepide tinte color pastello cedono al bianco ma anche all’oscurità delle perfide presenze che si avvicendano sullo schermo, come se la tempesta fosse sempre dietro l’angolo, un orrore psichedelico e deforme che si muove tra arte contemporanea e la pittura austriaca di inizio Novecento (Klimt e Schiele). Forme spesso incompiute, schizzi, bozzetti, a voler suggerire un percorso frastagliato impossibile da portare a termine, come i desideri della nostra protagonista.
Con “Belladonna Of Sadness” due termini come eroismo ed erotismo combaciano in un moto perpetuo che si rigenera scena dopo scena sotto una coltre di acido, una vertigine nella quale il bene e il male non esistono perché sono la stessa cosa: una confusione apparente però non ingannevole, una matassa sbrogliata dal regista non attraverso la narrazione ma grazie al bombardamento continuo di immagini e significati. Finiamo così al di fuori dello spazio e del tempo, in un universo parallelo che tanto assomiglia alla nostra realtà. Dove le streghe per fortuna sanno come lottare.

5

(Paolo Chemnitz)

belladonnaofsadness

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