di Ruggero Deodato (Italia, 1977)
Se “Il Paese Del Sesso Selvaggio” (1972) di Umberto Lenzi segna la nascita (inconsapevole) dei cannibal movies, è solo con “Ultimo Mondo Cannibale” che questo controverso filone viene codificato. In realtà questo film doveva essere diretto ancora una volta da Lenzi, ma il mancato accordo economico con la produzione permise a Ruggero Deodato di prendere in mano la situazione, consentendogli di poter fare le prove generali per il futuro capolavoro “Cannibal Holocaust” (1980). Per il regista (fresco ottantenne) nato a Potenza, tali pellicole rappresentano i primi due tasselli di una trilogia cannibale conclusasi nel 1985 con il meno significativo “Inferno In Diretta”.
Questa volta ci troviamo nella giungla di Mindanao, una grande isola appartenente alle Filippine: un atterraggio non senza brividi lascia nel cuore verde di questo luogo quattro individui, Rolf (Ivan Rassimov), Robert (Massimo Foschi), Charlie e Swan. Quello che colpisce immediatamente è il fatto che dopo neppure venti minuti Robert si ritrovi praticamente da solo, poiché Rolf finisce disperso dopo un incidente con la zattera e gli altri due membri della spedizione muoiono in circostanze crudeli. “Ultimo Mondo Cannibale” per buona parte del film rinuncia a qualsiasi dialogo lasciando parlare le atmosfere selvagge e una palpabile tensione, Robert viene infatti catturato da una tribù di indigeni che vive all’interno di una caverna dove il tempo sembra essersi fermato. Tra derisioni (ne sanno qualcosa i suoi genitali), oscuri rituali e violenze di ogni genere, il protagonista riesce ad aggrapparsi a uno spiraglio per la fuga grazie all’intervento di Pulan, una ragazza del posto. Ma è solo l’inizio di un nuovo incubo.
Ruggero Deodato trova la giusta chiave di lettura di un’opera per nulla facile da mettere in scena: utilizzando in partenza le classiche coordinate del survival movie, il regista sfrutta con grande bravura gli spazi angusti della giungla e in seguito l’opprimente penombra di quella grotta, riportando ogni essere umano (noi spettatori inclusi) a una dimensione rozza e primordiale. Non mancano ovviamente alcune efferate sequenze in cui a rimetterci le penne sono gli animali, sia quando si ammazzano tra loro (immagini di taglio documentaristico incollate nel montaggio), sia quando vengono smembrati dagli indigeni (come nella tragica uccisione del coccodrillo, poi riproposta in salsa orientale nell’allucinante “The Boxer’s Omen” del 1983).
Rispetto al magistrale “Cannibal Holocaust” qui manca la critica alla società contemporanea, Deodato infatti lascia correre l’aspetto avventuroso delle vicende mettendo in secondo piano tutto il resto: sul piatto rimane comunque un orrore senza vie di uscita (il gore tocca vertici raccapriccianti), una paura del diverso che si materializza attraverso questo continuo faccia a faccia vissuto negativamente dall’uomo occidentale. “Ultimo Mondo Cannibale” purtroppo è stato eccessivamente oscurato dal successo del suo fratello di maggior fama, a tal punto da diventare celebre (anni dopo) negli Stati Uniti con il titolo di “Jungle Holocaust”: bisogna quindi separare nettamente queste due pellicole, riconsiderando il primo cannibal di Deodato come un prodotto che brilla di luce propria. Un autentico tassello fondamentale per un genere all’epoca in via di esplosione.
(Paolo Chemnitz)