di Wes Craven (Stati Uniti, 1989)
“Sotto Shock” (“Shocker”) è un film a cui siamo sempre affezionati, anche perché se è vero che qui Wes Craven rimette in circolo gli ingredienti presenti in “Nightmare” (1984) e derivati, ci piace questa sua lampante critica nei confronti di un decennio in dirittura d’arrivo, un concetto che attraversa tutti gli anni ottanta (passando persino per “Videodrome”) atterrando proprio tra questi godibili fotogrammi. Anche l’idea del condannato alla sedia elettrica che resiste all’esecuzione non è affatto nuova, ricordiamo a tal proposito il sottostimato “Prison” (1987) o il contemporaneo “La Casa 7” (1989), sensazioni che ritornano con prepotenza pure nell’opera di Wes Craven (questa catena è poi proseguita con altri titoli, tra i quali “Seed” di Uwe Boll).
C’è un serial killer che terrorizza i sobborghi di Los Angeles: il sospettato numero uno è un riparatore di TV di nome Horace Pinker, il quale viene messo all’angolo dal tenente Parker grazie all’aiuto di suo figlio Jonathan, capace di entrare in connessione con l’assassino per mezzo dei sogni. Una volta arrestato e condannato, Pinker non muore ma ritorna in vita sotto forma di elettricità in grado di possedere i corpi di altre persone (“we can’t go killing people just to get Pinker out of their bodies”).
Uno dei motivi principali per cui ricordiamo “Sotto Shock” è la sua fantastica colonna sonora: fin dai titoli di testa si avvicendano nomi come Megadeth (riuscitissima la cover di Alice Cooper “No More Mr. Nice Guy”), Bonfire, Iggy Pop e tanti altri (soprattutto la superband The Dudes Of Wrath con in mezzo Desmond Child, Vivian Campbell, Rudy Sarzo e Tommy Lee). Un tuffo nelle indimenticabili atmosfere degli anni ottanta che non deve trarre in inganno, perché l’epoca raccontata dal regista è in mano a guerrafondai, predicatori o altri individui poco rassicuranti che si affacciano minacciosamente sugli schermi televisivi. Per Craven il male viene filtrato dalla TV sovrapponendosi alla realtà.
Horance Pinker non ha certo la stessa carica iconografica di Freddy Krueger ma le sue incursioni con la tuta arancione hanno il loro perché: nulla da consegnare alla storia ma questi cento minuti scarsi di visione meritano una riscoperta definitiva, dopotutto Craven non solo riesce ad autocitarsi con assoluta convinzione ma a conti fatti trova una formula in perfetto equilibrio tra orrore e ironia, un linguaggio che verrà messo a punto in via definitiva con la saga di “Scream” di qualche anno successiva. “Sotto Shock” rappresenta quindi un’incursione nel fantastico a nostro avviso riuscita, nella quale convivono molte delle tematiche care al regista di Cleveland. Una bella botta di nostalgia.
(Paolo Chemnitz)