di Ali Abbasi (Svezia/Danimarca, 2018)
La magia del cinema è inscindibile dai suoi significati: non esiste infatti un collegamento tra le immagini sullo schermo e le nostre emozioni senza una forte base concettuale capace di accendere questo motore, un flusso inarrestabile di energia che solo un bravo regista può gestire in maniera opportuna. In tal senso, l’iraniano naturalizzato danese Ali Abbasi è riuscito a compiere un piccolo miracolo, dopo le prove generali del suo primo (trascurabile) “Shelley” (2016). Con “Border – Creature Di Confine” (“Gräns”) tutto è in perfetto equilibrio, come se ogni azione diventasse automaticamente sensazione, un’alchimia che Abbasi sviluppa attraverso un triangolo basato su un elemento umano, un altro naturale e un terzo di matrice fantasy.
La storia prende spunto da un racconto di John Ajvide Lindqvist, scrittore già salito alla ribalta per “Lasciami Entrare”, romanzo divenuto un best seller in Svezia prima di essere trasposto al cinema dal celebre e omonimo film di Tomas Alfredson (sceneggiato dallo stesso Lindqvist). “Border” oscilla anch’esso tra realtà e sovrannaturale, una peculiarità qui ancora più pronunciata soprattutto grazie alla potenza dei personaggi principali, veramente unici, affascinanti e particolari. Un’eccellente Eva Melander è Tina, una donna dall’aspetto repellente impiegata presso la dogana: il suo incredibile olfatto le permette di fiutare i sentimenti altrui, un lavoro altamente prezioso per scoprire chi cerca di superare quel varco nascondendo qualcosa di losco. Tina vive con un uomo fissato con i cani che la ignora quotidianamente, due estranei nella stessa casa che si sopportano soltanto per non affogare nella solitudine. L’incontro casuale con Vore (Eero Milonoff) sconvolge improvvisamente la vita della protagonista, poiché questo individuo è un diverso come lei, un confronto che permette alla donna di scoprire la sua vera identità.
Si può (soprav)vivere da ultimi accettando le comuni imposizioni borghesi ma ci si può anche sbarazzare delle catene diventando sovrani dentro un mondo privo di costrizioni. Ali Abbasi ci riporta letteralmente alla natura, non a caso i segnali iniziali (la passeggiata a piedi nudi nella foresta, la dolce carezza all’alce) presto si tramutano in un bagno liberatorio, in una corsa sfrenata verso la pura essenza vitale. Anche l’amplesso weirdo tra Tina e Vore (una scena cult!) rilascia qualcosa di selvaggio nell’aria, annullando persino i confini sessuali tra uomo e donna. La riflessione di “Border” diventa quindi universale, poiché ognuno di noi può mettere in discussione se stesso durante il lungo percorso dell’esistenza: per farlo occorre però superare il trauma, lo shock, l’accettazione della propria (non necessariamente negativa) condizione. Dopotutto per una persona straordinaria il grigio si colora di gioia dal momento in cui vediamo brillare la medesima luce in chi ci sta accanto.
L’unico difetto del film è riconducibile al subplot sulla pedofilia, una lungaggine che Ali Abbasi ci poteva anche risparmiare: però c’è veramente poco da rimproverare a “Border”, un’opera originale studiata nei minimi particolari, dal trucco dei protagonisti (a dir poco perfetto) alle inconfondibili atmosfere da classico nordic drama. Forse c’è un nuovo cult movie scandinavo da affiancare a “Lasciami Entrare” (2008), ma solo il tempo ci potrà dire se è davvero così. Nel mentre, ci godiamo la magnifica storia di due sensibili creature fuori dal comune che hanno rifiutato le regole della società, quelle regole che hanno poco a che spartire con la bellezza di questo pianeta: “humans are parasites that use everything on earth for their own amusement. Even their own offspring. The entire human race is a disease, I’m telling you”.
(Paolo Chemnitz)