di Registi Vari (Nuova Zelanda, 2018)
Senza dubbio il successo di un film come “The Witch” (2015) ha spianato la strada a tutte quelle pellicole di matrice horror legate a lontane memorie popolari, a cui bisogna aggiungere il recente boom delle antologie horror, spesso realizzate da una manciata di registi indipendenti di buona fama. “The Field Guide To Evil” coglie la palla al balzo e sfrutta quanto detto attraverso otto lungometraggi molto diversi tra loro ma ognuno dei quali connesso a una credenza di un determinato paese. Un immaginario folkloristico non troppo dissimile da quello visto nel 2014 con il macabro “México Bárbaro”, un’antologia che però si occupava esclusivamente di oscure leggende messicane.
Dopo i suggestivi titoli di testa, si parte con il primo segmento affidato al duo composto da Veronika Franz e Severin Fiala (gli autori dell’ottimo “Goodnight Mommy”), ci troviamo infatti in Austria e veniamo catapultati all’interno di una remota zona boschiva dove la superstizione fa parte della quotidianità: ne paga le conseguenze una giovane ragazza sedotta da una coetanea e poi costretta a espiare i propri peccati (che si manifestano con le sembianze di un essere sovrannaturale). Una partenza tutto sommato riuscita. Niente male neppure il turco Can Evrenol (“Baskin” e “Housewife”), qui alle prese con un demone che appare durante il parto. Un secondo lavoro intenso, crudele e piuttosto inquietante, capace di farci sperare in un proseguimento in linea con quanto visto.
Agnieszka Smoczyńska, la regista polacca del sorprendente “The Lure” (2015), delude invece le aspettative: la sua è una storia che mescola horror e fantasy ma che stenta a decollare, nonostante l’interessante collegamento tra violenza e saggezza (solo mangiando il cuore dei cadaveri si può raggiungere la più alta forma di conoscenza). Curiosamente è il meno celebre Calvin Reeder a colpire il bersaglio: ci spostiamo negli Stati Uniti con un segmento in apparenza banale, visto che incontriamo subito una (odiosa) famigliola dentro la solita casa isolata nel bosco. Nella foresta però vivono degli umanoidi dalla testa gigante molto aggressivi, i quali presto compiono la tanto auspicata carneficina. Tensione latente e frattaglie sparse, bene così.
Dopo il giro di boa è la volta della Grecia, ma le visioni pagane messe in scena da Yannis Veslemes si rivelano un grosso buco nell’acqua, anzi nell’alcol (dopotutto si tratta di un corto in stato di ebbrezza!). Per fortuna si cambia registro con l’indiano Ashim Ahluwalia: la sua storia in bianco e nero ci racconta di due stranieri in visita presso un palazzo maledetto. Il plot resta alquanto sospeso e incompiuto, ma almeno la leggenda popolare qui trova un valido complemento concettuale.
Con la Germania di Katrin Gebbe (“Nothing Bad Can Happen”) ritornano le atmosfere rurali, i protagonisti sono infatti due ragazzi alle prese con uno spirito malefico che diffonde le malattie uccidendo il bestiame. Un segmento senza infamia e senza lode, così come l’ultimo diretto dal bravo Peter Strickland, inglese di nascita ma con un passato registico tra i monti della Transilvania (“Katalin Varga”). Il suo lungometraggio è ambientato in Ungheria e non ha dialoghi, nella consueta tradizione del cinema muto. Due fratelli calzolai amano la stessa persona ma solo attraverso le bugie uno dei due riesce ad approcciare la donna, scatenando una reazione estrema e crudele.
“The Field Guide To Evil”, come molte altre antologie horror, paga un livello qualitativo altalenante, oltre al fatto che le tante storie raccontate si esauriscono nel giro di pochi minuti senza essere in grado di coinvolgerci pienamente. Un film superficiale quindi, realizzato e diretto discretamente ma poco incline a lasciare un segno indelebile nell’ammaliante cinematografia folk-horror contemporanea.
(Paolo Chemnitz)