di Claudio Guerín (Spagna/Francia, 1973)
Qualcuno li chiama film maledetti, ripensando alla catena di disgrazie accadute sul set o negli anni successivi alla loro uscita, altri invece ritengono che si tratti solo di semplici coincidenze. Eppure c’è sempre qualcosa di inspiegabile o inquietante davanti alle tragedie che si consumano in questi casi, come ad esempio la scia di incidenti avvenuti durante la lavorazione di “The Omen” (1976) di Richard Donner. Oggi però ci spostiamo in Spagna per “La Campana Del Infierno” (da noi “A Due Passi Da… L’Inferno”), secondo e ultimo lungometraggio di Claudio Guerín, regista morto in circostanze misteriose dopo essere precipitato dal campanile della chiesa dove si stavano svolgendo le riprese. Un suicidio? Una sciagura dettata dal fato? Ognuno ha scritto la sua versione dei fatti, l’unica cosa che sappiamo è che il film è stato ultimato in extremis dal collega Juan Antonio Bardem.
L’attore francese Renaud Verley interpreta il protagonista Juan, un uomo fatto passare per pazzo dalla zia paralitica e dalle sue tre cugine per una questione legata a una ricca eredità. Juan però viene rilasciato dall’ospedale psichiatrico e comincia a meditare vendetta nei confronti delle quattro donne colpevoli della sua situazione. Con un epilogo alquanto sorprendente.
“La Campana Del Infierno” si inserisce a pieno titolo tra le pellicole più interessanti del cinema di genere spagnolo dei primi anni settanta: Claudio Guerín rimette in circolo quelle atmosfere torbide tanto care ad alcuni registi iberici del periodo, puntando sia sulla location rurale (ci troviamo nella selvaggia Galizia) che sulle mille suggestioni dettate dalla storia, un intreccio alquanto oscuro di terribili segreti familiari (tra i quali l’incesto). I canti dei bambini fungono praticamente da colonna sonora, una cornice sacra e innocente che racchiude al suo interno qualcosa di orribile e malefico, un intricato percorso – a tratti blando e non sempre limpido nella sceneggiatura – corredato qua e là da un apprezzabile sarcasmo (“I like animals. They are real. They eat when they are hungry. They sleep when they are tired and they fuck when they are in heat. You never been in heat, aunt!”).
E’ il 1973 ma “La Campana Del Infierno” già si distingue nel panorama estremo di quegli anni: le scene nel mattatoio sono un pugno nello stomaco, Juan infatti impara proprio in quel luogo alcuni espedienti da utilizzare successivamente per torturare le cugine. In effetti quando al posto delle mucche ci sono gli esseri umani, il montaggio diventa più che eloquente e il regista anticipa in qualche modo quel clima tipico dei sadici torture-porn contemporanei. Per chi ama muoversi ai confini tra l’(euro)horror e il thriller malsano di taglio 70s, “La Campana Del Infierno” è un titolo da riscoprire in tutta la sua morbosa efficacia, al di là dell’incredibile e infame destino toccato al povero Guerín.
(Paolo Chemnitz)