Reazione A Catena

reazione a catenadi Mario Bava (Italia, 1971)

Sono tanti i titoli (calzanti) con i quali conosciamo “Reazione A Catena”, film uscito nel 1971 con la denominazione “Ecologia Del Delitto” ma chiamato in fase di lavorazione “E Così Imparano A Fare I Cattivi”. Per gli anglofoni è invece “A Bay Of Blood”, un’altra variazione sul tema che a dire il vero collima nuovamente con quanto mostrato sullo schermo. Di sicuro Mario Bava deve essersi molto divertito a girare questo lungometraggio, un’opera realizzata con una certa libertà artistica in condizioni ottimali e senza alcuna pressione.
La trama è soltanto un pretesto per mettere in scena una serie di delitti in sequenza, praticamente l’essenza stessa del futuro cinema slasher di cui “Reazione A Catena” rappresenta un brillante prototipo: le prime immagini mostrano subito alcune anomalie che prendono le distanze dal contemporaneo italian giallo, una contessa paralitica viene infatti assassinata dal marito Filippo che a sua volta finisce accoltellato da una figura misteriosa. Nel giro di pochi minuti Mario Bava crea tensione e suggestione (fuori c’è aria di tempesta), mettendo immediatamente in discussione le regole del gioco (due omicidi compiuti da mani differenti). Poco dopo la telecamera si sposta sull’architetto Franco Ventura, il quale saluta la propria amante Laura per recarsi in quella baia per sistemare gli affari, poiché con la morte della contessa (contraria alle speculazioni edilizie in quel luogo incontaminato) ora c’è la possibilità di invertire la rotta. Conosciamo poi il pescatore Simone, l’entomologo Paolo Fossati, sua moglie Anna (che legge i tarocchi), due coppie in cerca di divertimento e infine Renata (legittima erede del conte Filippo) e il marito Alberto in compagnia dei figli, tanti personaggi incastonati dentro uno script a tratti confuso ma che riveste un ruolo davvero marginale nell’economia del film.
Mario Bava sfrutta alla perfezione le atmosfere lacustri del piccolo lago di Sabaudia, ambientando gran parte dell’opera in una zona impervia e isolata dal resto del mondo, sensazioni sottolineate dall’ottimo score tribale (ma anche malinconico) di Stelvio Cipriani. Praticamente un’anticipazione di ciò che vedremo qualche anno dopo con il body count di “Venerdì 13” (1980), anche se Bava non si limita soltanto a mettere in fila questa serie di fantasiosi omicidi, perché in “Reazione A Catena” c’è molto di più, anche dal punto di vista squisitamente tecnico: il regista utilizza lo zoom con assoluta maestria, così come le soggettive, la bellezza estetica dell’opera trova però il suo apice definitivo nella splendida fotografia curata dallo stesso Bava. Inoltre questo lungometraggio dà il via alla lunga stagione dello splatter italico, con un Carlo Rambaldi in grande spolvero agli effetti (la roncolata in faccia è da applausi, così come tante delle altre uccisioni).
Il finale beffardo racchiude in un sol colpo il concetto portante espresso dalla pellicola: l’avidità, l’egoismo e il capitalismo sfrenato non sono altro che l’anticamera della distruzione, di un annullamento che prima o poi elimina ogni pedina dalla scacchiera. I cattivi sono quindi condannati senza possibilità di redenzione, perché chi vuole arricchirsi alle spalle del prossimo deve comunque fare i conti con il destino. “Reazione A Catena” è quindi un cinico e amaro effetto domino che non lascia vie di uscita, l’ennesimo film maledetto di un regista tra i più influenti di sempre.

4

(Paolo Chemnitz)

reazione

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