di Paul Verhoeven (Olanda, 1983)
Tre anni dopo il controverso “Spetters” (1980), Paul Verhoeven chiude il suo ciclo olandese con un altro lungometraggio molto discusso a causa dei suoi contenuti ambigui e pruriginosi. Il regista mantiene inalterata la sua impronta stilistica ma cambia completamente tipologia di film, staccandosi dal dramma di provincia del suo lavoro precedente per approdare al thriller vero e proprio. Un’opera intrisa di ossessioni (religiose), erotismo e simbolismo, una prova di tutto rispetto che a distanza di oltre trentacinque anni merita una doverosa rivalutazione.
Gerard Reve (Jeroen Krabbé) è uno scrittore bisessuale con il vizio dell’alcol e un’attrazione morbosa verso l’iconografia cattolica. Inoltre l’uomo soffre di continue visioni, spesso collegate a presagi di morte. Una volta invitato in un club letterario di una cittadina olandese, Gerard conosce l’avvenente vedova nera Christine Halsslag (eccellente la prova di Renée Soutendijk), una donna dalla bellezza androgina che nasconde qualcosa di misterioso e conturbante. In realtà la biondona in questione ha già avuto tre mariti passati a miglior vita in circostanze sospette, un indizio che si ricollega perfettamente al titolo del film, “Il Quarto Uomo” (“De Vierde Man”). Gerard è quindi la nuova vittima designata? Lo scopriamo soltanto successivamente, perché nel frattempo lo stesso protagonista ingaggia una relazione sia con Christine che con l’amante attuale della donna, tale Herman.
Paul Verhoeven ci immerge subito dentro un puzzle piuttosto contorto, almeno inizialmente, ma il surrealismo da incubo mostrato in alcune immagini lascia davvero il segno, mettendo in luce una carica visionaria difficile da dimenticare. Il plot si piega alle regole del thriller soprattutto nella seconda parte, anche se la materia con la quale lavora il regista si dimostra ancora grezza e forse priva di quel colpo di genio che avrebbe consegnato questo film alla storia. Sono tanti però i motivi per cui “Il Quarto Uomo” è una pellicola ricca di fascino: prima di tutto si tratta di un’opera blasfema (il ragno sul Cristo, il corpo sul crocifisso sfiorato e quasi denudato), oltre che perversa (la scena della masturbazione, il voyeurismo) ed equivoca (il rapporto gay tra Gerard ed Herman è caratterizzato da egoismo, litigiosità e violenza). Ecco perché il film fu vietato ai minori di diciott’anni in vari paesi, un caso che all’interno della carriera di Verhoeven è molto più eclatante rispetto agli scandali hollywoodiani sollevati dal tanto chiacchierato “Basic Instinct” (1992).
Prima del grande salto nel cinema che conta, l’eredità orange che ci ha lasciato il regista di Amsterdam è ricca di sfumature e di pellicole mai banali: tra queste, “Il Quarto Uomo” è quella più criptica e ambiziosa, un affresco intriso di oscure visioni che si dipanano fino ai confini dell’horror (la sequenza dell’incidente pesca a piene mani da “Macabro” di Lamberto Bava). Un’opera quindi libera (ispirata proprio al libro omonimo dello scrittore omosessuale Gerard Reve), che rifiuta ogni dogma e nella quale il taglio onirico si rivela un chiaro messaggio di morte strisciante, filtrato attraverso quell’energia erotica (priva di elementi maschili e femminili ben definiti) qui decisiva per l’infausto sviluppo degli eventi.
(Paolo Chemnitz)