Lady Snowblood

lady s_di Toshiya Fujita (Giappone, 1973)

Se è vero che per molti proprio grazie a Quentin Tarantino è stato possibile (ri)scoprire un film come “Lady Snowblood”, bisogna assolutamente evitare di mettere sullo stesso piano il dittico di “Kill Bill” (2003/2004) con questo in cui è protagonista la star Meiko Kaji (ricordiamo infatti che “Lady Snowblood” ha un sequel, meno entusiasmante, uscito nel 1974). Inoltre “Kill Bill” non pesca solo dal lavoro di Toshiya Fujita ma assembla tanti pezzi provenienti dalle opere più disparate, come nella migliore tradizione tarantiniana (che vi piaccia o no). Una retrospettiva su questo memorabile chanbara degli anni settanta è comunque fondamentale anche per capire lo sviluppo occidentale di queste influenze, non troppo dissimili dalla mitizzazione storica messa in atto dai western americani realizzati sull’altra sponda dell’oceano. Toshiya Fujita volge lo sguardo al maestro Akira Kurosawa ma interpreta in maniera molto personale la sua creatura, lavorando con tecniche differenti e lasciando spazio a una poetica della violenza mai così pregna di gelide emozioni.
Ci troviamo alla fine del XIX° secolo e il film si apre con la scena di una prigioniera che partorisce una bambina all’interno di un carcere: questa neonata di chiama Yuki ed è stata messa al mondo per un solo scopo, vendicare chi aveva massacrato la famiglia della donna (stuprata a sua volta dal branco di assassini). La madre di Yuki era riuscita a ucciderne uno solo (finendo per essere arrestata) e proprio dietro le sbarre si era fatta volontariamente ingravidare per dare la vita a un erede capace di portare a termine la sua missione. Questo però lo scopriamo soltanto grazie a un successivo salto temporale, poiché fin da subito Fujita ci sbatte in faccia la furia omicida della protagonista ormai cresciuta (Meiko Kaji è un’icona che ricordiamo pure per le sue doti canore), capace di eliminare a colpi di katana chiunque osi affrontarla. Inizialmente questi flashback possono disorientare la nostra visione, ma quando entriamo nel meccanismo del film la trama diventa più semplice e lineare (complice una netta divisione in quattro capitoli, un iter poi ripreso dal futuro “Kill Bill”), anche perché l’obiettivo unico della ragazza è quello di uccidere le vittime designate.
tumblr_n4au47wl691qczbido2_500Yuki incarna l’essenza più pura della donna vendicatrice, dopotutto viene concepita appositamente per un obiettivo: “Lady Snowblood” si può quindi definire un revenge movie assoluto, nel quale l’esistenza collima perfettamente con un sentimento di odio e di rivalsa volto a procurare morte e dolore nei confronti di altri individui. Un percorso vissuto senza alcun compiacimento (lo splendido finale acuisce questa sensazione), poiché la violenza non è certo una risposta, ma solo un mezzo che non porta benefici.
Ciò che purifica questo mondo di decadenza non è la neve ma la neve macchiata dal rosso del sangue”. Il contrasto tra il bianco e il rosso è una delle caratteristiche principali dell’opera, segnata dalle inconfondibili sequenze splatter in cui il sangue sgorga schizzando via dai corpi in un tripudio di emoglobina. Toshiya Fujita prende ispirazione dall’omonimo manga uscito solo un anno prima ma riesce ad attenuare l’irruenza della storia con atmosfere fiabesche (valorizzate da una bella fotografia) che non rinunciano però a qualche affondo realistico (le scene nel carcere). Per questo “Lady Snowblood” incarna il perfetto equilibrio tra poesia e crudezza, un connubio raramente espresso nella sua interezza dal cinema giapponese più recente (dobbiamo spostarci in avanti di molti anni per imbatterci nella sontuosa filmografia di Takeshi Kitano). Imperdibile.

5

(Paolo Chemnitz)

lady snow

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