The Isle

the isledi Matthew Butler-Hart (Gran Bretagna, 2018)

Le aspettative che si erano create attorno a “The Isle” sono naufragate esattamente come i tre protagonisti del film. Se infatti l’idea di un folk horror ambientato nel 1846 presso una remota isola scozzese poteva far tornare in mente le atmosfere pagane del capolavoro “The Wicker Man” (1973) o gli strani accadimenti visti nel recente “The Vanishing” (2018), tutto quello che scivola qui sullo schermo perde ogni significato nel giro di una ventina di minuti.
L’opera si apre con due marinai che in compagnia di un ufficiale ferito si ritrovano alla deriva, dispersi nell’oceano: la loro nave diretta a New York è affondata, non resta che remare su questa piccola barca di legno in attesa dei soccorsi. Per loro fortuna, i tre approdano su un’isola non indicata dalle mappe, dove ricevono l’ambigua ma ospitale accoglienza dei pochissimi individui che vivono lì (in tutto due uomini e due donne). I naufraghi chiedono subito una scialuppa per poter ritornare sulla terraferma, ma è facile intuire che per questi sventurati l’impresa sarà contrastata in tutti i modi dagli abitanti dell’isola. Perché c’è qualcosa di ostile che si materializza in questo lembo di roccia che emerge dal mare, un sinistro evento che si ripete praticamente ogni anno, scomodando persino l’elemento fantasy/sovrannaturale con la presenza di una sirena fantasma (“il canto della sirena, sebbene irresistibilmente dolce, non era meno triste e lambiva corpo e anima in un letargo fatale, precursore di morte e corruzione”).
Sono molte le cose che non funzionano in “The Isle”, prima di tutto una messa in scena troppo superficiale per un film che vorrebbe ricostruire un determinato periodo storico. Matthew Butler-Hart lavora con un budget risicato e si vede, c’è davvero poca sostanza in questi novanta minuti per giunta sviluppati attraverso uno script tutt’altro che coinvolgente. Ancora peggio la recitazione degli attori, davvero pessima in alcuni casi, una pecca che si somma a un approfondimento psicologico dei personaggi non pervenuto. Potremmo accontentarci dei paesaggi nebbiosi o della tensione generata dal mistero che avvolge i tre malcapitati, anche in questo caso però il risultato complessivo è smorzato dall’errore di valutazione che c’è alla base dell’opera, talmente innocua e insignificante da mostrare la corda già dopo i primi dialoghi. Strano, perché solitamente in Gran Bretagna pure il prodotto più underground è molto curato sia nella confezione che nella scelta degli interpreti. “The Isle” è la classica eccezione che conferma la regola.

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(Paolo Chemnitz)

the isle_

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