di Sion Sono (Giappone, 2005)
Con “Strange Circus” (“Kimyô Na Sâkasu”) la carriera di Sion Sono è a un punto di svolta, non solo perché nel 2005 escono quattro film da lui diretti (tra cui il sottovalutato “Noriko’s Dinner Table”), ma anche per il fatto che con “Strange Circus” il cineasta giapponese dimostra di potersi spingere oltre, sia in fase di sceneggiatura che in ambito prettamente registico. Questo lavoro mette in luce un talento visionario fino a quel momento tenuto a freno, una caratteristica capace di riproporre alcune tematiche portanti del cinema di Sono attraverso nuove sorprendenti sfumature.
“Io sono stata condannata a morte alla nascita. O forse è mia madre quella che doveva essere giustiziata e ci siamo scambiate i ruoli”, queste le parole della piccola Mitsuko (dodici anni), una bambina molestata e violentata da un padre senza scrupoli e costretta inoltre ad assistere ai rapporti sessuali tra l’uomo e la moglie (la ragazzina viene rinchiusa all’interno della custodia di un violoncello, dove da una fessura può osservare i genitori che copulano). Questo ruolo di intercambiabilità tra le due figure femminili genera subito un certo smarrimento in noi spettatori, soprattutto quando Mitsuko uccide involontariamente la madre iniziando a comportarsi esattamente come lei, fino a un tentativo di suicidio che non si rivela mortale ma che costringe la giovane sulla sedia a rotelle. Realtà o fantasia? Incubo o sogno? In verità chi vive (forse) senza la possibilità di poter camminare è Taeko, una scrittrice di romanzi erotici che sta ultimando il suo nuovo libro. La trama, circolare e raccontata su diversi piani narrativi, mette a confronto l’orribile passato di Taeko con la sua immaginazione trasposta nel romanzo con protagonista Mitsuko. Un meccanismo audace atto a confondere la nostra percezione dei personaggi, una prassi che Sion Sono ha utilizzato anche di recente per il suo brillante “Antiporno” (2016).
Questo strano circo messo in scena dal regista ha dei connotati grotteschi che discendono direttamente dal movimento artistico ero guro, un’eredità che comunque si rileva autonoma rispetto ai riferimenti del passato: Sion Sono bypassa ogni forma di realismo alimentando lo shock attraverso continui ribaltamenti di fronte, per poi ricondurci dopo quasi due ore davanti a quella ghigliottina sinonimo di sacrificio, di morte e di disperazione. Incesto, pedofilia, perversione, “Strange Circus” deforma ambienti e personaggi mettendoli sotto una lente di ingrandimento che ne acuisce orrori, ambiguità e un destino senza speranza. Tutto questo all’interno di un barocchismo esasperato, anche nello score musicale (curato dallo stesso Sono), una miscela di suoni e cromatismi che riesce a elevarsi oltre la soglia del tangibile.
Il piglio felliniano di alcune sequenze e la non troppo velata ammirazione per le pellicole di Alejandro Jodorowsky non devono trarre in inganno: “Strange Circus” è un salto in avanti che vive di una sua precisa identità e che proietta Sion Sono dentro una nuova dimensione cinematografica. Un film sicuramente impegnativo e non sempre chiaro nelle sue svolte repentine, eppure capace di ammaliarci come una giostra di mille colori. Bisogna solo lasciarsi andare, per poi affogare lentamente in questa perfida metafora del male.
(Paolo Chemnitz)