di Fredrik Horn Akselsen e Christian Falch (Norvegia, 2017)
Grazie al sontuoso lavoro della Tsunami edizioni è stato possibile recuperare questo documentario decisamente underground, uscito pochi giorni fa in allegato al libro “Dawn Of The Blackhearts”. Parliamo di questo dvd anche perché siamo appassionati di black metal, un genere musicale assolutamente controverso che non ha mai smesso di fornirci materiale utile per il dibattito. Però bisogna subito chiarire una cosa: questo lavoro – al contrario dei preziosi contributi storici presenti in “Once Upon A Time In Norway” (2007) e “Until The Light Takes Us” (2008) – non è adatto al neofita che conosce poco o nulla di queste sonorità. “Blackhearts” è infatti un prodotto decisamente atipico volto a esplorare tre sfaccettature particolari della scena, incarnate da tre storie singolari che prendono forma nella periferia per poi confluire dentro il centro magnetico norvegese, un tempo seminale grembo della second wave.
Per Fredrik Horn Akselsen e Christian Falch selezionare queste esperienze fuori dal comune non è stato semplice ma l’intento dei due registi ha superato ogni più rosea aspettativa. Le note di “Dunkelheit” di Burzum ci trasportano subito oltre i confini dell’impero, esattamente in Iran e Colombia, a cui bisogna aggiungere la Grecia che in realtà può vantare una lunga tradizione black metal fin dagli albori. Conosciamo tre progetti ognuno con la sua peculiarità: Sina è un blackster clandestino di Teheran che non può suonare o pubblicizzare in patria la sua creatura From The Vastland, pena l’intervento severo delle autorità iraniane. Una volta invitato in Norvegia, per lui ha inizio una seconda vita, culminata con un contratto discografico e la partecipazione al celebre Inferno Festival. Il trio colombiano dei Luciferian è invece circondato dalla mentalità bigotta della gente del luogo, loro però sono satanisti convinti e grazie a un rituale magico riescono a ottenere il tanto agognato visto per fare un concerto in Norvegia. Merito ovviamente di Satana, stando alle parole della band! Quello dei greci Naer Mataron è infine un caso salito persino agli onori della cronaca nazionale, il loro vocalist/bassista Kaiadas è stato infatti eletto al parlamento tra le fila di Alba Dorata, il partito di estrema destra ellenico. Il gruppo ci tiene a lasciare la politica fuori dalla musica, ma le sorti del protagonista e della band stessa cambiano vertiginosamente quando Kaiadas viene arrestato insieme ad altri membri del partito per presunta associazione a delinquere di stampo criminale. Questo segmento del documentario, inizialmente focalizzato sul personaggio principale, presto devia sugli altri due membri del gruppo, entrambi ansiosi di vedere scarcerato il loro amico (con la possibilità finalmente di suonare in Norvegia).
Attorno a questi bizzarri avvenimenti, c’è un valzer di facce piuttosto conosciute che si avvicendano sullo schermo: Abbath degli Immortal, Nocturno Culto dei Darkthrone e soprattutto Arnt dei Keep Of Kalessin (curiosa la sua passione per le canzoni natalizie!) che in qualche modo fa gli onori di casa ai nuovi arrivati. Non tutto è approfondito a dovere, ma molti aneddoti sul film sono raccontati nel libro correlato. Tra questi ci teniamo a sottolinearne uno in particolare, ovvero quando la sindaca di Bergen sale sul palco dell’ormai defunto Blastfest per presentare con tanta ironia l’evento davanti a un pubblico di metallari scatenati. Una simpatica signora di una certa età che scherza, alza la mano in cielo facendo il gesto delle corna e supporta un genere musicale un tempo osteggiato e demonizzato in patria. Anche per questo motivo lo spirito underground degli anni novanta qui appare solo come un vecchio ricordo, ma un’immagine del genere è da accogliere comunque positivamente, al di là dello sdoganamento mainstream che il black metal ha avuto nelle terre nordiche e non solo. Per giunta una cosa simile in Italia sarebbe impensabile.
“Blackhearts” rappresenta un piacevole toccasana per chiunque avesse voglia di conoscere storie (umane) di musica slegate dai riflettori del music business, anche se a livello underground il metallo nero è talmente pieno di situazioni borderline degne di essere raccontate che si potrebbero realizzare decine e decine di documentari al riguardo. Le tre esperienze qui messe sul piatto sono diverse ma tutte unite dalla voglia matta di farcela, di arrivare, di sfidare le regole del mondo. Una testimonianza sicuramente interessante, comunque destinata a quei pochi intimi che seguono in maniera ossessiva le sorti del black metal.
(Paolo Chemnitz)