di James Wan (Stati Uniti, 2007)
Dopo l’exploit di “Saw – L’Enigmista” (2004) e ancora prima della definitiva consacrazione commerciale (“Insidious” e il successivo “The Conjuring”), James Wan ha attraversato un periodo interlocutorio con due pellicole uscite a distanza di pochi mesi, l’horror “Dead Silence” (a nostro avviso trascurabile) e questo thriller fumettoso poco amato dalla critica che in realtà non è affatto malvagio. Si tratta di un tipico revenge movie con al centro il tema della vendetta privata, ispirato non a caso a un’opera dello scrittore Brian Garfield, lo stesso autore da cui prese spunto Michael Winner per il cult “Il Giustiziere Della Notte” (1974). Quello di Wan è praticamente un remake non dichiarato del classico con Charles Bronson, solo che questa volta a far scattare la scintilla non è la morte della moglie del protagonista, bensì quella del figlio.
Un Kevin Bacon piuttosto in palla interpreta Nick Hume, un premuroso padre di famiglia molto preso dal lavoro e dai suoi figli: una sera, rientrando a casa con il più grande dei due, Nick si ferma a una stazione di servizio mentre il ragazzo scende dall’auto per comprarsi qualcosa da bere nel piccolo supermercato adiacente. Improvvisamente una gang di teppisti irrompe nel locale uccidendo il proprietario e ferendo a morte il giovane, tutto questo per uno scellerato rito di iniziazione in cui è coinvolto un nuovo arrivato. Con l’aiuto della polizia, Nick riconosce subito il sospettato numero uno, ma convinto di non poter ottenere giustizia dal processo penale, egli rinuncia ad accusare in tribunale il vero omicida. Una volta che il killer viene rimesso in libertà, in preda a un’insaziabile sete di vendetta, Nick si mette sulle tracce dei vari componenti della banda, pedinandoli e ripagandoli esattamente con la stessa moneta. Quella della violenza più brutale.
“Death Sentence” non è un film originale: la trama segue un percorso già battuto infinite volte in passato, lasciando persino qualche lecito dubbio sulle eccessive forzature in fase di sceneggiatura. Inoltre quando Kevin Bacon si rasa a zero i capelli prima dello scontro definitivo, il fantasma di “Taxi Driver” (1976) volteggia pericolosamente attorno allo schermo, ma James Wan è comunque consapevole che il suo è un semplice tributo e non una scopiazzatura senza capo né coda. Anche perché, se c’è una cosa che tiene in piedi “Death Sentence” per oltre cento minuti, è proprio la regia di questo bravo malaysiano naturalizzato australiano, in alcuni frangenti capace addirittura di regalarci grandissimo cinema d’azione (la scena del lungo inseguimento a piedi è a dir poco magistrale). Un punto a favore è altresì rappresentato dal ritmo sempre sostenuto, ben supportato da massicce iniezioni di cattiveria: impossibile quindi non lasciarsi trascinare da questo personaggio tormentato in cerca di vendetta, un uomo che scivola dritto giù nel baratro, fin dentro il punto di non ritorno.
Dopo questa breve analisi forse è il caso di ridare una chance a questo thriller urbano tutto sommato degno di visione, un titolo minore all’interno dell’ormai consolidata carriera del regista ma allo stesso tempo un film apprezzato e rispettato da molti appassionati. L’espressione più dinamica del talento di James Wan.
(Paolo Chemnitz)