di Edoardo Mulargia (Italia, 1972)
Durante i primi anni settanta il trend imperante all’interno del nostro cinema bis era rappresentato dal cosiddetto italian giallo, una serie di pellicole legate da molti elementi in comune e non sempre capaci di risultare originali. “Al Tropico Del Cancro” è un film atipico che può essere inserito con le dovute cautele dentro questo filone (il killer con i guanti neri c’è anche qui!), nonostante l’impianto tipicamente thriller sia spesso contaminato da altre influenze che esulano dal genere di riferimento. Ciò che comunque colpisce immediatamente è la location esotica dove si svolgono le vicende (Haiti), un luogo mostrato per quello che è (un formicaio umano povero e superstizioso), l’aspetto più intrigante di un’opera che avrebbe potuto regalarci maggiori soddisfazioni se solo fosse capitata tra le mani di un altro regista (Sergio Martino, per esempio).
Fred Wright (Antonio Tinti) e sua moglie Grace (Anita Strindberg) – una coppia in crisi – approdano in questo stato dei Caraibi dove incontrano un vecchio amico di lui, il Dottor Williams (Anthony Steffen). Quest’ultimo ha perfezionato la formula per un potente allucinogeno, una droga che a quanto pare fa gola a molti ricchi acquirenti del posto. Presto una serie di omicidi si abbattono su questi individui, mettendo in pericolo anche la vita dei due protagonisti.
Edoardo Mulargia (qui affiancato alla regia da Giampaolo Lomi) mette troppa carne al fuoco. Conosciamo subito una serie di personaggi (alcuni piuttosto curiosi) che però stentano a decollare nell’economia generale del film, schiacciati da una sceneggiatura frammentata e mai capace di prenderci per mano. Inoltre le varie uccisioni non convincono al cento per cento: il cadavere appeso nel mattatoio appare furtivamente e senza provocare scompensi di alcun tipo, mentre l’assassinio in mezzo al fango è realizzato in maniera spartana e approssimativa, due esempi di lacune tecniche che purtroppo si sommano a quelle narrative.
Peccato che il film non insista sull’aspetto documentaristico, sfruttato degnamente solo nella scena del rituale voodoo (assolutamente realistica, come è ribadito nei titoli di coda), un vero elemento perturbante in odore di mondo movie. Funziona a dovere anche lo score musicale di Piero Umiliani, così come la sequenza visionaria in cui una nuda e maliziosa Anita Strindberg si mette a pomiciare con un negro (per tutti gli amanti della categoria interracial). Ma non basta, “Al Tropico Del Cancro” zoppica e non convince nonostante questa voglia matta di mescolare generi e suggestioni: sul piatto resta quindi una pellicola particolare ma nulla di più, ai Caraibi ci siamo divertiti maggiormente quando da quelle parti è sbarcato Joe D’Amato con i suoi terrificanti porno-horror di culto.
(Paolo Chemnitz)