di John Carpenter (Stati Uniti, 1980)
Secondo le parole dello stesso John Carpenter, “The Fog” dovrebbe essere considerato un classico dell’horror minore. Sicuramente su questa affermazione ha influito il fatto che il film fosse stato realizzato con pochi soldi, senza contare che Carpenter aggiunse a fine riprese il prologo (per allungare il minutaggio) e una serie di scene rigirate ex novo in quanto le precedenti non erano state considerate soddisfacenti. Ma con un risultato del genere, “The Fog” bisogna davvero guardarlo dal basso verso l’alto, perché si tratta di un ennesimo gigante della filmografia carpenteriana, forse meno attraente rispetto ad altri titoli ma ricco di sostanza e di incredibili suggestioni.
Antonio Bay è un piccolo centro in riva all’oceano che si accinge a festeggiare il centenario della sua fondazione: allo scoccare della mezzanotte in città avvengono degli strani fenomeni elettromagnetici mentre in mezzo al mare un intero equipaggio viene avvolto da una fitta nebbia e poi sterminato. Contemporaneamente, Padre Malone scopre dietro una parete un vecchio diario scritto da suo nonno, nel quale si narra che i sei fondatori di Antonio Bay costruirono questo luogo solo grazie all’oro depredato da una nave carica di lebbrosi fatta volutamente affondare. Oggi i fantasmi di quel relitto sono tornati per compiere la loro vendetta sui discendenti di quel gruppo di cospiratori.
Se dovessimo scegliere un film incentrato sul karma, “The Fog” sarebbe perfetto. Battute a parte, l’opera di Carpenter si pone al di là dello schema sopruso/vendetta visto centinaia di volte sul grande schermo: questa pellicola è soprattutto un ghost movie incredibilmente avvolgente, capace di regalarci una parte iniziale con venticinque minuti notturni che mettono a dir poco i brividi. Un incipit suggestivo, dove le leggende si mescolano alla realtà, prima che prenda corpo l’inquietante impronta da cinema d’assedio che il regista aveva sperimentato con grandi risultati già nel classico “Distretto 13: Le Brigate Della Morte” (1976).
“I don’t know what happened to Antonio Bay tonight. Something came out of the fog and tried to destroy us. In one moment, it vanished. But if this has been anything but a nightmare, and if we don’t wake up to find ourselves safe in our beds, it could come again. To the ships at sea who can hear my voice, look across the water, into the darkness. Look for the fog”. Come un nemico invisibile che striscia nel buio, la nebbia che avvolge Antonio Bay è una spettrale riflessione sulla vita di una comunità cresciuta attraverso il peccato, un’analisi che si può allargare alla nascita stessa degli Stati Uniti d’America, inscindibile da uno spargimento di sangue mai troppo pubblicizzato dai canali ufficiali. La comunità deve quindi espiare le sue colpe e John Carpenter capovolge ogni equilibrio minando le sicurezze del cittadino moderno: ansia, paura, timore dell’ignoto, neppure la religione può nulla davanti all’intervento del sovrannaturale (che nel film è solo una potente metafora di un orrore materiale scolpito nella memoria del luogo).
La colonna sonora è una tra le più belle scritte dal Maestro, ma il fascino della pellicola trova il suo terminale anche grazie alla bravura di valide attrici come Adrienne Barbeau o l’immancabile Jamie Lee Curtis, un valore aggiunto che amplifica la consistenza di un lungometraggio impossibile da dimenticare. Metteteci dentro gli incredibili paesaggi della California settentrionale e il gioco è fatto, per un risultato di enorme spessore (visti i presupposti di partenza). “The Fog” non è quindi un semplice horror, bensì la rappresentazione di un cinema provocatorio che risveglia la consapevolezza storica di una nazione intera utilizzando un sottile quanto efficace linguaggio metafisico.
(Paolo Chemnitz)