Suspiria

suspiriadi Luca Guadagnino (Italia/Stati Uniti, 2018)

Il fatto che Luca Guadagnino abbia evitato di girare un remake in linea con il capolavoro di Dario Argento era piuttosto scontato, altrimenti sarebbe stata una scelta a dir poco masochista. Asserire quindi che il regista sia stato intelligente a invertire la rotta non apporta di certo un valore aggiunto al film in esame, poiché questo approccio in fin dei conti era l’unica strada possibile per realizzare un “Suspiria” diverso, originale e con una sua propria identità. Guadagnino ha idee da vendere ed è molto bravo dietro la mdp, ciò però non significa che la formula presente in questo film riesca a fare la differenza. Scopriamo perché.
Mentre ascoltiamo la magia di Suspirium interpretata da Thom Yorke, nei titoli di testa appare in sovraimpressione based on the original screenplay by Dario Argento e Daria Nicolodi: i nostri occhi si fermano lì, da questo spunto che dà vita a un plot che fin da subito cerca di imboccare strade diverse, a cominciare da una dimensione temporale sulla carta interessante ma sviluppata con una certa pretestuosità. Ci troviamo nella Berlino del muro, durante le azioni terroristiche della RAF (comunemente chiamata la Banda Baader-Meinhof). Luca Guadagnino ci ricasca, perché come era già accaduto con “Chiamami Col Tuo Nome” (2017), egli cerca la contestualizzazione storica attraverso degli avvenimenti sociali e politici del periodo, buttandoli nella mischia senza però approfondirli a dovere. Un lancio di dadi che non sortisce effetto, nonostante la prima ora del film sia davvero di alto livello. Il regista lavora sull’accumulo di indizi, di elementi o di ulteriori eventi (presenti e passati) che non riescono però a compattarsi nel momento topico della pellicola, disperdendosi e confondendosi all’interno di una sceneggiatura penalizzata proprio da questo deragliamento improvviso.

suspiriaìMessa da parte la superficiale collocazione berlinese, sul piatto restano alcune ottime intuizioni: la fotografia, volutamente cupa e in netta antitesi con quella di Luciano Tovoli del 1977, un paio di scene memorabili (il montaggio alternato tra le coreografie di Susie Bannion e la straziante deformazione della vittima designata è un passaggio indimenticabile), oltre alle notevoli interpretazioni di Dakota Johnson (Susie) e Tilda Swinton, quest’ultima impegnata in un sorprendente triplice ruolo. La tensione scivola sotto la pelle e non sempre emerge in maniera esplicita, “Suspiria” infatti aggira (almeno fino a un certo punto) la spettacolarizzazione horror che piace al grande pubblico, ripiegando su intriganti soluzioni autoriali che si smarcano dagli stereotipi più comuni. La parte conclusiva però suona tanto come un autogol, soprattutto nelle immagini del sabba, un rituale caricato in maniera eccessivamente grottesca a cominciare dalla figura di Helena Markos, la quale sembra una massa subumana fuoriuscita dal finale di “Society” (1989). La strega più cool del pianeta.
In “Suspiria” la prospettiva femminile (e femminista) è centrale e ruota attorno a una serie di rapporti ambigui e mai definiti: Guadagnino ripensa alle donne presenti nel cinema di Fassbinder (e non si tratta solo di una coincidenza storica), spiritualmente tormentate e in perenne conflitto con il mondo circostante. Solo la passione (in questo caso per la danza) può liberare i loro corpi, una forma di rivolta interiore che scatena una fiamma ben rappresentata dalle intense scene di ballo.
Che dire ancora? Il regista siciliano ha sfruttato soltanto in parte un potenziale che poteva garantire dei risultati migliori, penalizzato prima di tutto da un minutaggio veramente eccessivo (due ore e mezza!) che alla resa dei conti si rivela controproducente. “Suspiria” non è certo un brutto film e mostra persino alcune buone carte da giocare, ma la carne al fuoco è troppa ed è gestita senza la giusta consapevolezza. L’horror dell’anno, diceva qualcuno.

3

(Paolo Chemnitz)

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