Bereavement

beredi Stevan Mena (Stati Uniti, 2010)

Una trilogia horror sconosciuta ai più è quella realizzata nell’arco di quindici anni da Steven Mena, il quale ha dedicato tutta la sua carriera a questo trittico dalle alterne fortune, conclusosi recentemente con “Malevolence 3: Killer” (2018). Ma se il primo “Malevolence” (2003) mostrava evidenti limiti di idee e di budget, è con il secondo “Bereavement” (2010) che il regista raggiunge discreti risultati, un sano tuffo nell’american horror di provincia che deve tantissimo al cinema di riferimento del passato.
La pellicola in realtà è un prequel di “Malevolence”, le vicende infatti prendono vita nel 1989, quando lo psicopatico Graham Sutter rapisce il piccolo Martin trascinandolo con sé in un vecchio mattatoio abbandonato di Minersville, Pennsylvania. Martin soffre di una rara sindrome ed è insensibile al caldo, al freddo e al dolore. Il ragazzino inoltre è costretto a osservare le crude gesta del serial killer, il quale massacra alcune donne dopo averle condotte in quel luogo così lercio e isolato dal resto della cittadina. Cinque anni dopo arriva in paese Allison Miller, ospitata dallo zio in seguito a un tragico lutto in famiglia: la giovane tende però a starsene per conto proprio, allontanandosi spesso da casa per correre nelle campagne circostanti, una scelta che ovviamente la porterà a confrontarsi con il mostro nascosto nel mattatoio.
“Bereavement” ha due difetti purtroppo evidenti, una sceneggiatura tutt’altro che esemplare (alcuni buchi sono imperdonabili) e una protagonista poco ispirata come Alexandra Daddario, qui incapace di esprimersi a dovere: se comunque chiudiamo un occhio sui limiti di cui sopra, il film di Steven Mena ha dalla sua una splendida cornice rurale che ci cattura fin dalle prime battute, avvalorata per giunta da una notevole fotografia. Sono proprio queste caratteristiche ambientali il punto di forza del film, atmosfere capaci di trasmettere inquietudine e la sensazione di un pericolo imminente. L’epilogo inoltre, pur con le immancabili forzature, riesce ad alzare di molto l’asticella del sangue e della violenza, regalandoci qualche scena piuttosto succulenta e movimentata.
Nonostante sia facile intravedere qualche inevitabile stereotipo nella fin troppo lineare narrazione, “Bereavement” punta maggiormente sui luoghi e sugli aspetti psicologici dei personaggi rinunciando quindi ai classici jump scares tanto in voga durante il nuovo millennio. Non un grande horror ma neppure un prodotto mediocre, per un film nella media che forse avrebbe meritato un pizzico di attenzione in più alla sua uscita. Se volete quindi avvicinarvi alla trilogia, iniziate da questo e fatevelo bastare.

3

(Paolo Chemnitz)

bereav

 

 

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