di Małgorzata Szumowska (Polonia, 2018)
Da anni Małgorzata Szumowska è una delle registe più quotate in Polonia, non a caso questo suo ultimo lavoro (“Twarz” nel titolo originale) si è aggiudicato l’Orso d’Argento all’ultimo Festival di Berlino. Un’opera interessante ma a nostro avviso incompiuta, eccessivamente in bilico tra cinema drammatico e commedia nera, un’indecisione che evita ogni tipo di affondo limitando sia l’aspetto prettamente tragico delle vicende che quello più leggero e farsesco.
La regista prende spunto dalla statua del Cristo Re presente nella cittadina di Świebodzin ed eretta solo pochi anni fa, un monumento gigante che supera in grandezza persino quello del Cristo Redentore di Rio De Janeiro. Jacek è un ragazzo che lavora proprio nel cantiere adibito per la costruzione della scultura, un metallaro bonaccione ben voluto da tutti ma visto anche con diffidenza per i suoi gusti stravaganti che lo rendono ovviamente diverso dagli altri membri della famiglia. Il suo prossimo obiettivo è quello di sposarsi con la giovane fidanzata Dagmara, il destino però si rivela infame con lui, perché un grave incidente gli cambia improvvisamente l’esistenza: Jacek cade da un’impalcatura e rimane sfigurato in volto, un impatto fatale da cui esce miracolosamente vivo ma che lo costringe a un delicato intervento chirurgico di trapianto facciale.
La prima parte del film ci mostra una cattolicissima Polonia molto legata alle sue tradizioni, attraverso una piccola comunità che ha nella chiesa locale il suo punto di riferimento principale. Jacek, pur nella sua diversità, non è poi così alienato dagli altri (lavora e conduce una vita assolutamente normale), ma gli stessi valori cristiani predicati da quella gente svaniscono nel nulla quando si tratta di aiutare il povero malcapitato dopo la disgrazia: Dagmara lo abbandona per un altro uomo, le istituzioni non gli riconoscono l’invalidità e solo la sorella sembra avere cura di lui. La Szumowska guarda concettualmente a “The Elephant Man” (1980) senza però imprimere il colpo di grazia alla storia ma giocando invece con qualche siparietto comico che funziona soltanto in alcuni casi, come nella scena della presunta possessione demoniaca del protagonista. Lo stesso Jacek è un individuo grottesco che rimane schiacciato sia dalla mentalità bigotta dei suoi compaesani che dagli scoop giornalistici che cercano un nuovo freak da sbattere in prima pagina, una morsa che si traduce in una critica trasversale sicuramente riuscita ma non del tutto approfondita, complice anche qualche stereotipo di troppo.
Ad allietare la nostra visione ci pensa una buona regia ricca di interessanti soluzioni, come ad esempio certe inquadrature marginalmente sfocate, una deformazione che la stessa regista ha associato alla differenza tra il personaggio centrale e tutto ciò che accade attorno a lui, un mondo alterato e corrotto nonostante le buone intenzioni di facciata. Una società che non ha problemi a voltare le spalle al prossimo quando si tratta di mostrare umanità e solidarietà, ovviamente nel nome di un colossale Cristo di cemento che incarna la megalomania di qualche prelato a caccia di record e di visibilità. Peccato soltanto che Małgorzata Szumowska tenga il piede in due scarpe, non consentendo al film di prendere la sua definitiva fisionomia.
(Paolo Chemnitz)