di Yorgos Lanthimos (Irlanda/UK/Grecia, 2015)
“The Lobster” ha sdoganato definitivamente il talento di Yorgos Lanthimos, fino a quel momento nome di culto per una cerchia ristretta di cinefili (grazie soprattutto al capolavoro “Kynodontas” del 2009). Lasciato da parte l’idioma greco, il regista si cimenta con una produzione di respiro internazionale che approda persino nelle sale italiane, mettendo immediatamente a disagio quegli spettatori non abituati al linguaggio straniante dei suoi film. Eppure la presenza di un attore del calibro di Colin Farrell e questa spinta verso territori (in apparenza) mainstream poteva far pensare a un ammorbidimento di certe tematiche, invece anche in questo caso il vero punto di forza dell’opera è l’approccio sincero e diretto di Lanthimos, come al solito geniale nel saperci raccontare – tramite una metafora surreale – la realtà più scomoda aggirando le leggi del politically correct.
In un futuro distopico tutti i single sono costretti a trascorrere quarantacinque giorni in un hotel: qui potranno trovare la loro anima gemella, altrimenti si trasformeranno in un animale a loro scelta. In questo luogo ci sono delle regole da rispettare (è proibito masturbarsi) e gli ospiti vengono bombardati da una propaganda volta a favorire il formarsi di nuove coppie. A tal proposito, la sequenza in cui viene mimata la differenza tra una donna single (a rischio stupro) e una donna con un partner accanto (che nessuno può sfiorare) ha un sapore da puro spettacolo teatrale e strappa applausi a scena aperta. Questo è Lanthimos, prendere o lasciare. David (Colin Farrell) comunque ha già deciso, se le cose non dovessero andare per il verso giusto, di diventare un’aragosta (da qui il titolo del film).
Per il regista greco non c’è speranza: chi crede nel rapporto di coppia è costretto a scendere a compromessi o ancora peggio ad assomigliare al proprio partner per essere accettato, un vicolo cieco che in breve tempo genera incomprensioni, egoismo e sofferenza. Chi invece ha scelto la solitudine non se la passa meglio, c’è una fossa da scavare (senza l’aiuto di nessuno) e la vita scorre via in un bosco dove la libertà ha comunque un prezzo da pagare. L’immagine con i single che ballano la musica elettronica ascoltandola in cuffia è strepitosa e merita di essere ricordata come una delle intuizioni più originali dell’intera pellicola.
Lanthimos non giudica i personaggi poiché il suo stile distaccato sembra sbeffeggiare un po’ tutti, un filtro gelido che ci abbandona tra mille domande (incluso quel finale irrisolto spunto di notevoli riflessioni), una presa di posizione che deride l’amore così come la solitudine pur lasciando aperto uno spiraglio verso la passione, forse l’unica vera emozione che appartiene al genere umano. Da “The Lobster” devono stare alla larga i moralisti di turno, questa è la cinica realtà e non poteva che essere raccontata attraverso una possente allegoria a tratti collusa con la commedia nera: un film che smonta pezzo per pezzo le costrizioni culturali in cui siamo immersi quotidianamente, strappandoci un sorriso amaro tutt’altro che confortante (“we dance alone. That’s why we only play electronic music”). Premio della Giuria a Cannes nel 2015.
(Paolo Chemnitz)