di Theodore Gershuny (Stati Uniti, 1972)
“Silent Night, Bloody Night” è un film conosciuto con molti titoli, da “Night Of The Dark Full Moon” fino a “Death House” (la recente uscita home video italiana ha scelto quest’ultima denominazione). Noi preferiamo mantenere quel tocco natalizio che emerge già nella melodia presente nei credits iniziali, dopotutto l’opera è ambientata (in Massachusetts) proprio durante la vigilia di Natale. Si tratta di un proto-slasher (girato nel 1970 ma distribuito solo due anni dopo) che sotto alcuni aspetti anticipa tante pellicole successive, a cominciare da “Black Christmas” (1974) di Bob Clark: praticamente un cult movie mancato, sia per alcuni evidenti difetti strutturali che ne limitano il potenziale che per una serie di coincidenze che lo hanno relegato nel dimenticatoio per troppo tempo.
Nel 1950 un uomo di nome Wilfred Butler muore tra le fiamme, così la sua casa viene ereditata dal nipote Jeffrey, dopo anni intenzionato a venderla prima possibile (con un salto temporale siamo già finiti al 1970). Ma quella dimora incute timore, il sindaco della cittadina invita la gente a tenersi lontano da quel luogo mentre nel frattempo uno psicopatico è scappato da un istituto di igiene mentale, rifugiandosi proprio tra quelle mura. Queste dinamiche incrociate non ci aiutano a entrare immediatamente nel film, ma si ricompongono lentamente fino a sfociare in un finale molto suggestivo, capace di rimettere a posto tutti i pezzi del puzzle che per buona parte dell’opera si confondono tra di loro (tra omicidi e manicomi, scopriamo persino una relazione incestuosa).
Le atmosfere presenti in “Silent Night, Bloody Night” sono incredibili: il cielo plumbeo, le luci natalizie (tutt’altro che rassicuranti) e la musica straniante che qua e là compare nella pellicola sono solo alcuni elementi che alimentano un clima a dir poco opprimente, suggellato dalle ottime inquadrature (esternamente questa casa è decisamente creepy) e dall’utilizzo di numerosi flashback, dove la fotografia virata al seppia contribuisce a immergerci in un incubo davvero inquietante. L’approccio underground di Theodore Gershuny è marcio e morboso, una discesa nell’horror più nero che tanto significa per un’opera uscita agli albori dei 70s: questo mood allucinato ci permette quindi di chiudere un occhio (anche due) su certe lungaggini che devastano i tempi narrativi, esasperando la lentezza del film oltre il dovuto.
Il sangue in “Silent Night, Bloody Night” non scorre copioso, ma la scena del primo assassinio è da manuale e la soggettiva del killer (con i guanti neri) precorre molte cose che vedremo da lì a poco. Un lavoro dunque intrigante ma imperfetto (ed eccessivamente intricato), che bisogna apprezzare soprattutto per quell’alone gelido che lo attraversa dal principio alla fine. Un Natale così freddo non si dimentica facilmente.
(Paolo Chemnitz)