di Al Adamson (Stati Uniti, 1969)
La prossima pellicola di Quentin Tarantino (“Once Upon A Time In Hollywood”) sarà ambientata nel 1969, un anno scelto non casualmente. Mentre imperversa il conflitto del Vietnam, in California Sharon Tate viene assassinata dai seguaci di Charles Manson, un ennesimo controverso episodio di cronaca nera che contrasta apertamente con il pacifismo tanto decantato dalla cultura hippie. Il 1969 è anche l’anno di “Easy Rider”, un inno alla libertà presto diventato il film simbolo per un’intera generazione di bikers cresciuti a cavallo di un’Harley. Infine c’è Al Adamson, prolifico regista conosciuto negli ambienti grindhouse, qui capace di regalarci una delle opere più violente ed estreme legate al genere di riferimento, dove la motocicletta rappresenta soltanto un mezzo per spostarsi e non una metafora connessa all’indipendenza dell’individuo ribelle. Un prodotto realizzato con pochi dollari ma capace di far parlare di sé grazie a un sadismo gratuito persino precursore di alcuni horror degli anni settanta.
Quella dei Satans è una gang che uccide e stupra senza ritegno: capeggiati da Anchor (Angelo nel doppiaggio italiano), questi psicopatici vagano nel deserto della California commettendo ogni tipo di crimine, fino a quando non incappano in Johnny, un marine in congedo seduto dentro una locanda appena messa a soqquadro dalla banda (“in Vietnam, at least I got paid when I killed people”). Una trama appena abbozzata per un’opera studiata appositamente per i drive-in dell’epoca, nella quale emerge una bella colonna sonora psichedelica (LSD come se piovesse) e un certo piattume stilistico dettato dalla scarsa dimestichezza del regista con la telecamera. “Satan’s Sadists” infatti non si apre agli spazi aperti del territorio circostante, fossilizzandosi spesso sulle brulle alture dove si rifugiano i membri della gang (la location di “Le Colline Hanno Gli Occhi” non sarà poi così differente) e su qualche inquadratura insistita che mette a nudo tutte le ingenuità tecniche della pellicola.
Per essere un film del 1969, questo “Satan’s Sadists” presenta qualche freccia al proprio arco capace di incuriosire chiunque fosse attratto dal cinema underground più povero e grezzo: Al Adamson ci consegna un lavoro sciatto, noioso e girato male (in 16 millimetri), però allo stesso tempo diverso da altri titoli dello stesso tenore, solitamente di qualità medio-bassa eccetto alcune opere imprescindibili. Anche questo lungometraggio si assesta su livelli poco confortanti, mostrando comunque una carica sovversiva piuttosto intrigante per l’epoca.
(Paolo Chemnitz)