di Cristi Puiu (Romania/Francia, 2010)
Cinque anni dopo il memorabile “La Morte Del Signor Lazarescu” (2005), Cristi Puiu torna con un film di tre ore molto più dilatato rispetto alla pellicola precedente. Anche in questo caso le immagini si focalizzano su un solo personaggio, lasciando che tutto il resto diventi soltanto un mero contorno, ma questa volta dalle corsie degli ospedali finiamo direttamente nello squallore della città, dove lo stesso regista interpreta Viorel, un uomo disperato che vaga tra le grigie e spoglie strade di Bucarest.
“Un individuo imprigionato nella propria filosofia di vita che non è abbastanza flessibile da scendere a compromessi, potrebbe uccidere qualcuno, uccidere se stesso o lasciare la comunità. Raccontare questa storia significa dare alcune estreme risposte alle domande poste dal vivere all’interno di una comunità”. L’essenza di “Aurora” si può riassumere proprio attraverso le parole di Puiu, interessato esclusivamente a raccontare il delirio esistenziale di un soggetto destinato comunque a soccombere. Viorel è un personaggio freddo, immobile e senza emozioni, distrutto dal recente divorzio con la moglie ma tuttavia deciso a compiere un ultimo tragico atto, una soluzione drastica per vendicarsi delle persone che hanno materializzato il suo dolore: egli uccide un notaio e poi ancora i suoceri, secondo lui capaci di condizionare psicologicamente la donna.
La prima parte del film è molto lenta, in alcuni frangenti persino apatica e priva di un qualsiasi sviluppo narrativo (siate pazienti, accade veramente poco). Seguiamo la vita di Viorel quasi in tempo reale, prima nel suo posto di lavoro (una fabbrica) e poi quando è intento a comprarsi i proiettili per il fucile, una lucida discesa nella follia che corrisponde a un calcolo matematico studiato nei minimi particolari. “Aurora” diventa così una rappresentazione gelida dell’odio e del rancore, realizzata con un realismo al limite del documentaristico (inizialmente Puiu poteva contare su cinque ore di girato!) e diretta con uno stile molto distaccato: la telecamera spesso è fissa e i lunghi piani sequenza sembrano addirittura voler spiare da lontano le uccisioni (quella nel parcheggio è a sangue freddo, quella all’interno della casa si sofferma invece sul soffitto dal quale provengono le urla). Anche per questo approccio antispettacolare Viorel è un personaggio che fa molta più paura rispetto a mille serial killer mascherati che vediamo quotidianamente nel cinema horror.
Nella seconda metà “Aurora” accelera il passo, assistiamo infatti a dialoghi più fitti e a una scena molto triste in cui è coinvolta la figlia del protagonista, un messaggio tra le righe prima dell’inevitabile conclusione la quale suggella la lucidità mentale di un piano ben preciso, la perfetta chiusura del cerchio per un film meno intenso e geniale del precedente (capo)lavoro ma comunque capace di raccogliere nuovamente applausi in giro per il mondo. Il cinema rumeno contemporaneo ha davvero un posto speciale nel nostro cuore.
(Paolo Chemnitz)