di Claudio Caligari (Italia, 1983)
Claudio Caligari ha trovato il suo posto all’interno del cinema italiano soltanto dopo la sua morte. Un paradosso, una beffa, ma è andata proprio così. “Non Essere Cattivo” (2015), oltre a essere un gran film, almeno è servito a sdoganare definitivamente le sue opere, una gloria postuma purtroppo legata soltanto a tre titoli diretti nell’arco di oltre trent’anni. Dopo alcuni documentari, per lui il travagliato debutto giunge nel 1983 con “Amore Tossico”: bisogna però attendere il 1998 per il suo secondo lungometraggio (“L’Odore Della Notte”). Prima di questa data (ma anche dopo), egli butta giù una serie di progetti di taglio crime-noir naufragati nell’indifferenza generale, sceneggiature scritte con passione ma mai prese in considerazione dai produttori.
“Amore Tossico” rimane ancora oggi un droga movie unico nel suo genere: pur non disponendo di mezzi tecnici adeguati, Caligari si tuffa a capofitto dentro un’avventura portata a termine solo grazie all’interessamento di Marco Ferreri (il film ebbe numerosi problemi di produzione e per quasi un anno le riprese furono bloccate). La particolare singolarità di “Amore Tossico” è dettata dal fatto che nel 1983 la realtà del nostro paese è ormai raccontata dalla televisione. Caligari invece rema controcorrente calcando la mano sul suo background da documentarista, per giunta influenzato dal neorealismo e dal cinema di Pasolini. Ne esce fuori un film (scritto a quattro mani con il sociologo Guido Blumir) in bilico tra verità e finzione, capace di infrangere le regole di quel decennio ormai in odore di politically correct. Il regista conosce la periferia romana (Ostia e Centocelle), conosce il problema (la diffusione dell’eroina tra i giovani) ma soprattutto affronta le vicende con assoluta onestà intellettuale. La droga ti distrugge, una volta assunta però riesce per un attimo a farti dimenticare le brutture del mondo, motivo per il quale “Amore Tossico” non è un film puramente drammatico ma è anche una pellicola con uno spiccato sense of humour, dove si sorride amaramente tra una rapina, una marchetta o uno schizzo nelle vene.
Gli attori sono tutti tossici presi dalla strada. Cesare, Enzo, Roberto, Massimo, Capellone, Michela, Loredana, Debora e Teresa, i loro nomi sono gli stessi utilizzati per il film, proprio per non disperdere quella spontaneità nei gesti e nelle azioni quotidiane. Dopotutto, “Amore Tossico” è una realtà raccontata senza ricorrere ai trucchetti giornalistici di un mondo movie o a quella fastidiosa patina da scoop televisivo. Claudio Caligari ne è consapevole e rinuncia quindi all’impianto narrativo, segmentando la storia in un circolo che rappresenta l’eterno ritorno: racimolare qualche soldo, bucarsi, vagare per la periferia e ritrovarsi giorno dopo giorno sempre allo stesso punto di partenza. Nel peggiore dei casi, morire di AIDS (come è accaduto a Cesare nel 1989, nonostante si fosse disintossicato dall’eroina) o conoscere un destino comunque impervio. Perché le storie di vita di questi ragazzi non sono altro che la prosecuzione di “Amore Tossico” (c’è chi è scomparso, chi ha avuto guai con la giustizia e chi sta lottando fino alla fine).
Curiosamente, proprio il recente “Non Essere Cattivo” chiude il cerchio alla perfezione. Ancora droga, ancora Ostia, ancora un’opera fortemente voluta dal regista ma uscita quando lui ormai ci aveva lasciati. Conoscere e ammirare “Amore Tossico” significa possedere la chiave unica per apprezzare la pur breve carriera di un regista diverso, lontano dalla massa rumorosa che fin dagli anni ottanta ha sancito l’inesorabile declino del cinema italiano.
(Paolo Chemnitz)