La Maschera Della Morte Rossa

la maschera della morte rossadi Roger Corman (Stati Uniti/UK, 1964)

La sacra triade composta da Roger Corman, Vincent Price ed Edgar Allan Poe segna indelebilmente la prima metà degli anni sessanta: pellicole come “I Vivi e i Morti” (1960), “Il Pozzo e il Pendolo” (1961), “I Racconti Del Terrore” (1962), “La Tomba di Ligeia” (1964) o l’opera in esame non hanno infatti bisogno di presentazioni, anche se il film più ambizioso e affascinante del lotto è proprio “La Maschera Della Morte Rossa” (1964), un progetto nato tempo prima ma subito accantonato dallo stesso Corman per l’eccessiva somiglianza con “Il Settimo Sigillo” (1957) di Ingmar Bergman. Forse è stato un bene attendere ancora un po’, alla luce di una storia più dinamica e contaminata tutt’altro che fedele al (magnifico) racconto di Poe. Inoltre nel film sono presenti alcuni elementi presi da un altro testo dello scrittore americano (“Hop-Frog”), un miscuglio che quindi pone l’obiettivo principale del regista al di là del soggetto di partenza.
“The Mask Of The Red Death” (questo il titolo originale) è ambientato nel medioevo in una non identificata zona dell’Italia meridionale: una figura vestita di rosso e incappucciata (nel libro è un cadavere putrefatto) annuncia la liberazione a una vecchietta, ma di quale liberazione stiamo parlando? Il principe Prospero (Vincent Price) è un sadico despota che governa quelle terre e qualcuno crede che quel segnale rappresenti la fine della sua tirannia, in realtà però sta accadendo qualcosa di ancora più atroce, la pestilenza ha colpito il villaggio e il principe ha ordinato di bruciare quel piccolo borgo di contadini. Le vicende quindi si spostano all’interno del castello, dove la Morte Rossa non può far breccia, almeno in apparenza.
Vincent Price domina la scena in lungo e in largo con un personaggio crudele e sopra le righe, capace di prendersi gioco della popolazione del luogo terrorizzandola o decimandola a suo piacimento. Ma la novità introdotta da Roger Corman è la devozione del protagonista al satanismo, con una critica non troppo velata alla religione dominante e alle sue superstizioni (quello del regista è comunque un discorso trasversale, anche Prospero infatti incontra un destino nero e orrendo come quello degli altri nobili). Come in una danza macabra la morte infatti non risparmia nessuno (“…and darkness and decay and the Red Death held illimitable dominion over all”), così una volta distrutto tutto quello che c’è fuori dal castello, lo sterminio volge il suo sguardo verso chi si è rifugiato al suo interno.
Alcuni critici ritengono che “La Maschera Della Morte Rossa” sia un’opera invecchiata male: che appartenga a un’altra epoca è un dato oggettivo, ma la cura con cui sono state realizzate le scenografie, la bellezza della pastosa fotografia (di Nicolas Roeg) e la confezione in generale lo proiettano in una dimensione a sé, lontano dalle altre pellicole prodotte durante quella prolifica stagione cinematografica. Quella di Roger Corman diventa così un’esperienza surreale dove la pestilenza non è altro che un semplice contorno per raccontare qualcosa di più grande, un giudizio universale a cui nessun uomo può sfuggire: la lezione di Poe viene perciò assimilata a pieno e avvalorata dalle influenze bergmaniane e da una sperimentazione raffinata e mai lasciata al caso. Un cinema orgiastico e teatrale, che guarda all’orrore sotto nuove sfavillanti prospettive.

4

(Paolo Chemnitz)

la maschera della mr

 

 

 

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