Toro Scatenato

torodi Martin Scorsese (Stati Uniti, 1980)

“Toro Scatenato” (“Raging Bull”) non è solo un film sulla boxe, è molto di più. Quattro anni dopo il successo di “Taxi Driver” (1976) e in seguito alla battuta d’arresto con “New York, New York” (1977), Martin Scorsese si rilancia con una pellicola biografica sul pugile italo-americano Jake LaMotta (detto Il Toro del Bronx), un lungometraggio controverso che ha conosciuto una completa rivalutazione soltanto successivamente, diventando non solo uno dei titoli di punta di Scorsese ma anche una delle opere più importanti di tutto il cinema americano.
“Toro Scatenato” parla di violenza, di paranoia, di misoginia e di autodistruzione, mostrando prima l’ascesa e poi la caduta di un uomo a cui apparentemente non manca nulla (il talento, il denaro, le donne). Ma proprio la fragilità psicologica del protagonista rappresenta lo snodo cruciale sul quale ruotano le vicende, quella mancanza di autocontrollo che trasforma un campione in un miserabile (nelle immagini conclusive ritroviamo Robert De Niro – superbo interprete principale e premio Oscar come miglior attore – visibilmente ingrassato di ben trenta chili per incarnare al meglio questa sua fase di inesorabile declino).
5PSmL’immancabile Paul Schrader cura insieme a Mardik Martin una sceneggiatura solida e credibile, ispirata a sua volta al libro autobiografico di LaMotta: si tratta di un lungo flashback che ripercorre la carriera e la vita privata del pugile, due elementi complementari che nel film si incrociano di continuo mettendo in luce la forza e la debolezza di quest’individuo così scostante. I combattimenti realistici, dove il sangue e il sudore schizzano via che è un piacere, si alternano alle sfuriate con la moglie (poi abbandonata per la bella Vickie) e alle terribili scenate di gelosia per quest’ultima, prima conquistata con un giro in automobile e poi trattata come un essere inferiore in un mondo terribilmente maschilista. Accanto a Jake LaMotta si muovono degli individui poco raccomandabili che lo costringono a indirizzare a loro piacimento alcuni incontri, mentre il fratello Joey (eccelsa anche la prova di Joe Pesci) si rivela un manager troppo emotivo per frenare gli istinti paranoici di Jake. Non a caso il protagonista viene abbandonato da tutti, finisce persino in carcere e infine si ritrova solo davanti a uno specchio esattamente come Travis in “Taxi Driver”. Quel doppio che riflette la dannazione eterna e un conflitto insanabile con il proprio ego.
“Toro Scatenato”, se si escludono alcune brevi sequenze a colori, è stato girato in b/n, una scelta non casuale che lo differenzia ancora di più dai primi due capitoli di “Rocky” (usciti rispettivamente nel 1976 e nel 1979), uno stacco netto per un film esistenzialista prima che sportivo. Perché la boxe qui non è altro che un semplice contorno, una spietata metafora di una vita da prendere a pugni che purtroppo lascia segni sul volto sempre più evidenti, ferite e tagli che a un certo punto non riescono più a rimarginarsi. Una parabola discendente che Martin Scorsese accomuna a una sua sensazione del periodo: egli infatti era fermamente convinto che “Toro Scatenato” sarebbe stato il suo ultimo lavoro, motivo per il quale la produzione del film fu molto meticolosa, seguendo la strada di un perfezionismo mai così evidente nel cinema di Scorsese. Risultati che poi trovano conferma nella regia, nei clamorosi dialoghi e in un montaggio da capogiro (firmato Thelma Schoonmaker). Cinema da tramandare ai posteri.

5

(Paolo Chemnitz)

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