di Jack Hill (Stati Uniti, 1973)
C’è un cinema exploitation pensato appositamente per gli afroamericani e chiamato comunemente blaxploitation. Durante i primi anni settanta assistiamo al proliferare di queste pellicole, facilmente riconoscibili per gli attori principali (tutti rigorosamente neri) e per le colonne sonore spesso orientate verso la musica soul o funk. Titoli come “Blacula” (1972), “Super Fly” (1972), “Coffy” (1973) e “Foxy Brown” (1974) hanno dato tantissimo a questa corrente: proprio Jack Hill con i succitati ultimi due titoli è riuscito a creare un immaginario di grande successo, poi ripreso durante i 90s da Quentin Tarantino con “Jackie Brown” (1997), un film che – assonanza eloquente a parte – condivide con le due opere di Jack Hill la stessa protagonista, l’eroina black Pam Grier.
Coffy è un’infermiera intenzionata a vendicare le sorti della sorella tossicodipendente, ormai ridotta in condizioni pessime a causa di alcuni pusher. La donna si spaccia subito per una squillo (facendo fuori un boss afroamericano in un nightclub) per poi entrare nelle grazie di King George, un istrionico pappone colluso con la mafia del posto. Quella di Coffy presto diventa una lotta senza esclusioni di colpi in un ambiente viscido, violento e altamente pericoloso.
Il carisma e la carica sensuale di Pam Grier mettono immediatamente in circolo l’energia senza tempo presente in questo film, un vero prototipo del cinema pulp tra personaggi sopra le righe e dialoghi ficcanti e oltremodo divertenti. Jack Hill infonde il giusto ritmo alle vicende e non poteva essere altrimenti: minacce, pestaggi e persino un catfight degno dei migliori b-movie del periodo (“she’s a wild animal! I’ve got to have that girl, George! Tonight!”), questo è “Coffy”, un lavoro che sbatte in faccia allo spettatore una serie di situazioni sadiche e sgradevoli senza mai scendere a compromessi con il politicamente corretto.
“Coffy” funziona sicuramente meglio rispetto al suo gemello “Foxy Brown” (che non è un sequel anche se in partenza doveva esserlo), qui infatti lo script scivola via come l’olio e la denuncia sociale – nonostante sia praticamente abbozzata – colpisce il bersaglio con molta naturalezza. C’è una critica nei confronti del ghetto nero (un sottomondo pieno di pusher e mignotte) ma anche verso le istituzioni, con la polizia ovviamente corrotta dalla malavita locale. Un motivo in più per tuffarsi a capofitto tra i fotogrammi di questo spassoso revenge movie in salsa black, un titolo imprescindibile per chi ama le magiche atmosfere degli anni settanta.
(Paolo Chemnitz)