di Lukas Feigelfeld (Germania/Austria, 2017)
Strega si traduce in tedesco con hexe e in svedese con häxan, termini che derivano dall’arcaico hagazussa, in uso durante il tardo medioevo. Automaticamente questa parola ci riporta in mente “The Witch” (2015), il film di Robert Eggers diventato in poco tempo una pietra miliare del sottogenere folk horror. Lo stesso trailer di “Hagazussa” (uscito alcuni mesi fa) ci aveva fatto subito pensare a una risposta europea al capolavoro di Eggers, un’ipotesi che però trova solo qualche timida conferma tra queste immagini.
Alpi austriache, XV° secolo. La piccola Albrun e sua madre vivono isolate tra la neve in una misera baita: la gente del villaggio è convinta che le due donne siano streghe e questa vita di stenti presto si ripercuote proprio sulla mamma di Albrun, che muore di peste davanti agli occhi terrorizzati della ragazzina. Le premesse sono ottime, “Hagazussa” trasmette un senso di impotenza e di solitudine toccando con vivo realismo la terribile quotidianità di una giornata qualsiasi durante gli ultimi decenni dell’epoca medievale. Le scenografie sono molto curate così come i costumi, il giovane viennese Lukas Feigelfeld (nato nel 1986) sembra intenzionato a fare sul serio, ma le intriganti vicende che assaporiamo nel primo frammento di “Hagazussa” presto lasciano spazio a nuovi eventi spostati nel futuro. Facciamo quindi un salto temporale di vent’anni, Albrun è diventata grande e vive da sola con una figlia appena nata, allevando caprette e producendo formaggio. Vicino a lei, una donna con la quale riesce a instaurare un rapporto di reciproca amicizia, una calma apparente che anticipa il deragliamento ermetico del film, tra follia, sinistri avvenimenti e un’indagine criptica sulla psicologia della nostra protagonista.
Il parallelo tra “The Witch” e “Hagazussa” si riduce praticamente alle suggestive atmosfere pagane, alle superstizioni di un’epoca buia e alla figura femminile come snodo centrale per lo sviluppo della storia. Ma se la pellicola americana offre allo spettatore una trama molto fruibile e un appiglio iconografico importante (il capro nero Black Phillip), il film di Feigelfeld vira decisamente sulla sottrazione enigmatica e nebulosa, mettendo in risalto il legame tra Albrun e la solitudine attraverso un minimalismo esasperato (anche i dialoghi lentamente spariscono). Il regista austriaco non ci risparmia alcune sequenze scioccanti e inquietanti, ma al di là delle singole scene, l’ermetismo di “Hagazussa” è indicato esclusivamente a un pubblico allenato, anche perché Lukas Feigelfeld non è certo Carlos Reygadas e questo suo primo passo nel mondo del cinema (se escludiamo alcuni corti) ha dei difetti visibili da smussare. Un film dunque ambizioso che punta rigorosamente in alto, prendendosi più di un rischio.
Si rivela comunque intrigante gustarsi una nuova opera incentrata sul folklore alpino, un trend che negli ultimi anni sembra muoversi nelle direzioni più disparate, dalle leggende popolari svizzere del valido “Sennentuntschi” (2010) fino a una serie di fantasiosi horror (americani) con protagonisti i famigerati Krampus tirolesi. “Hagazussa”, seppur con il suo incedere a tratti logorante, è un debutto discretamente riuscito che tuttavia non bisogna sopravvalutare.
(Paolo Chemnitz)