di Paul Hyett (Gran Bretagna, 2012)
Paul Hyett ha iniziato la sua carriera cinematografica come truccatore ed effettista, lavorando nella crew di pellicole di successo come “The Descent” (2005) o “Eden Lake” (2008). Poi, nel 2012, il debutto alla regia con questo “The Seasoning House”, un prodotto interessante frutto di tanti anni di esperienza sul set. Si tratta di un revenge thriller violento e disturbante, capace di regalarci situazioni opprimenti e claustrofobiche per buona parte della visione. Anche se i rimpianti non mancano.
Anni novanta: ci troviamo in un non identificato luogo tra i Balcani, durante la guerra civile nella ex Jugoslavia. Alcuni militari senza scrupoli irrompono nei villaggi massacrando i civili e portando via con loro le giovani fanciulle, le quali una volta catturate finiscono recluse in una casa bunker dove vengono schiavizzate e costrette a prostituirsi. Viktor è il sadico comandante che dirige le operazioni, mentre Angel è una ragazza sordomuta che suo malgrado collabora con i soldati, prendendosi cura delle vittime ridotte allo stremo a causa delle percosse e degli stupri. Chi sgarra muore.
“The Seasoning House” parte con un ritmo dilatato, mettendo in risalto la tragedia umana dipinta sui volti tumefatti delle ragazze e il clima di terrore in cui esse sono immerse, una cappa nera dove il destino è segnato già in partenza. Paul Hyett acuisce questo disagio lavorando sul sonoro e sul mood quasi catacombale che attraversa quelle stanze, lasciando esplodere la violenza con alcune impennate di rara cattiveria (un paio di scene sono davvero toste da mandare giù). A un certo punto però la sottomessa Angel mostra il suo lato più empatico, stringendo amicizia con una coetanea che si esprime con lei utilizzando la lingua dei segni: così, quando la corda si spezza, “The Seasoning House” cambia completamente rotta, trasformandosi in un revenge movie sicuramente scoppiettante ma alquanto privo di credibilità. La protagonista è talmente minuta che riesce a sfuggire ai suoi aguzzini infilandosi nelle intercapedini presenti nei vari corridoi (fin qui nulla da dire), ma allo stesso tempo la vediamo combattere come se nulla fosse un gruppo di militari armati fino ai denti e grossi il triplo di lei. Se quindi per voi la verosimiglianza è importante, la parte conclusiva di questo lavoro lascia abbastanza interdetti, soprattutto alla luce di una prima metà incentrata sul realismo più disarmante. Praticamente due film in uno che vanno in aperta collisione tra loro, mandando a monte le ottime suggestioni condivise in partenza.
Cosa rimane sul piatto? Un film brutale, cinico e ottimamente interpretato dalla giovanissima Rosie Day (classe 1995), unica mattatrice di un’opera purtroppo gettata alle ortiche da uno sviluppo degli eventi decisamente irreale e inopportuno. Anche perché le vicende si svolgono in piena guerra, non in un videogioco con l’imbattibile eroina di turno. Il giudizio complessivo resta moderatamente positivo, ma si tratta pur sempre di una grande occasione mancata.
(Paolo Chemnitz)