Hereditary

hereditarydi Ari Aster (Stati Uniti, 2018)

L’attesa è finita, “Hereditary” è appena sbarcato nei cinema italiani forte di una sontuosa campagna promozionale e di una serie di recensioni a dir poco entusiastiche. Ma si tratta davvero dell’horror dell’anno? In queste sede, dove nessuno può interferire sulla nostra indipendenza e sulla nostra onestà intellettuale, “Hereditary” ne esce notevolmente ridimensionato. Se questo decennio ci ha regalato alcune pellicole ormai scolpite nella memoria di ogni vero appassionato (pensiamo a “The Babadook” o “The Witch”), questo debutto alla regia per il giovane e talentuoso Ari Aster rappresenta soltanto un film nella media o poco più, un prodotto a tratti interessante ma non per questo capace di entrare nella storia recente del cinema horror.
Quando la matriarca Ellen Graham passa a miglior vita, per i componenti della famiglia inizia un periodo di strani accadimenti: conosciamo subito Annie (Toni Collette), una donna estrosa che trascorre le giornate nel suo laboratorio casalingo costruendo miniature. Accanto a lei, il marito Steve, il figlio adolescente Peter e la piccola Charlie. Ari Aster spacca subito in due questo nucleo di quattro elementi. Le figure femminili incarnano la creatività, la ribellione (Charlie spesso dorme dentro una casetta di legno in mezzo agli alberi), mentre nella controparte maschile emerge una preoccupante apatia e razionalità, una caratterizzazione persino anonima nella figura del padre. Sulla famiglia Graham incombe una maledizione, perché c’è qualcuno che sta muovendo i fili del gioco, tra dissapori, disgrazie e allucinazioni, un potere misterioso che almeno in partenza riporta in mente l’ultima eccellente fatica di Yorgos Lanthimos (“Il Sacrificio Del Cervo Sacro”). Qui però la tragedia greca si materializza tra i boschi dello Utah (dove sono state effettuate le riprese) e Ifigenia viene soltanto citata durante una lezione scolastica, “Hereditary” infatti al giro di boa cambia decisamente marcia trasformandosi in un horror dai connotati sovrannaturali e demoniaci.

hereAri Aster dirige con grande eleganza, regalandoci notevoli movimenti di mdp e inquadrature studiate ad hoc, però è anche vero che a una regia di valore indiscusso non corrisponde una narrazione di pari livello. Il minimalismo (anche nei dialoghi) con il quale si giunge alla prima ora del film non penetra a dovere nello spettatore: le vicende dei Graham appassionano fino a un certo punto, girando di continuo attorno a noi ma mai affondando con cattiveria, neppure in una seconda fase più movimentata dove le carte vengono scoperte con eccessivo fragore, mettendo in risalto solamente una madre fuori di senno e i suoi comportamenti al limite del grottesco (qualcuno ha riso in sala e forse non aveva tutti i torti). Probabilmente non era il caso di mandare avanti un’opera del genere per ben centoventisette minuti, quando sinceramente bastava tagliuzzare alcuni passaggi francamente superflui o tirati troppo per le lunghe. Inutile poi rievocare i grandi capolavori del passato (la solita pubblicità ingannevole) quando in realtà “Hereditary” sembra un prodotto Blumhouse di taglio più autoriale, con una scena madre indimenticabile ma anche con tantissimi cliché a fare da contorno (la seduta spiritica oppure una spaventosa apparizione degna di “Insidious”). Per Ari Aster si tratta quindi di un esordio ovviamente incoraggiante, però questo mistero che assilla la famiglia Graham avvolge ma non coinvolge, nasconde ma (in certi casi) mostra fin da subito, come se il regista avesse voluto far contento sia il pubblico mainstream che quello più esigente. Il rischio è invece quello di scontentare tutti, tranne la critica più istituzionale e il botteghino.

3

(Paolo Chemnitz)

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