di Enzo G. Castellari (Italia, 1976)
Con “La Polizia Incrimina La Legge Assolve” (1973) e il successivo “Il Cittadino Si Ribella” (1974), Enzo G. Castellari aveva fatto irruzione nel genere poliziottesco come un fulmine a ciel sereno. Tempo due anni e da Genova ci trasferiamo a Roma, mentre un sobrio Fabio Testi prende il posto di Franco Nero (protagonista nei due film sopracitati ma ancora impegnato col regista nel contemporaneo “Keoma”). Non si tratta solo di un semplice passaggio di consegne, perché “Il Grande Racket” cambia molte carte in tavola prendendo le distanze da tutti i film che lo avevano preceduto. Qui le indagini passano in secondo piano e gli inseguimenti a sirene spiegate vengono eliminati per far posto a un linguaggio che si slega dagli stereotipi del periodo: il risultato è clamoroso, poiché qui Castellari tira fuori dal cilindro un action movie di taglio internazionale, un eurocrime unico per regia, inventiva e sviluppo delle vicende.
Il maresciallo Nicola Palmieri (un cupo e misurato Fabio Testi) sta indagando su un’organizzazione dedita al racket delle estorsioni, un banda di spietati strozzini (tra cui una donna stronza all’ennesima potenza) che sta mettendo in ginocchio i commercianti della città. Bisogna risalire al cult “Cani Arrabbiati” (1974) di Mario Bava per trovare un gruppo di pazzi come questo, capaci persino di umiliare, stuprare (una ragazzina!) e uccidere pur di raggiungere il loro scopo. Quando però la corda si spezza, Nicola Palmieri (nel frattempo estromesso dall’incarico per i suoi metodi poco ortodossi) riunisce alcune vittime dei soprusi, formando una gang eterogenea pronta a dare scacco ai vertici di questa mafia (“abbiamo uno scopo in comune, la vendetta”). Praticamente “Quella Sporca Dozzina” (1967) a ranghi ridotti e in un contesto da western metropolitano.
Enzo G. Castellari tira fuori dei colpi da vero fuoriclasse: la scena con Fabio Testi ripreso all’interno dell’abitacolo mentre la sua macchina cade giù da un dirupo è da manuale del cinema. Lo stesso si può dire delle sequenze action, con un sparatoria alla stazione Tiburtina che è un capolavoro di ritmo e adrenalina, senza dimenticare quel finale che potrebbe benissimo rappresentare la risposta italiana a “Il Mucchio Selvaggio” (1969) di Sam Peckinpah, anche per via del magistrale uso del ralenti. Per come lo conosciamo noi, Quentin Tarantino non si sarebbe formato senza una pellicola di tale caratura, capace di avvicendare sullo schermo tanta azione e una serie di personaggi persino goliardici, i cui dialoghi spesso anticipano quel cinema pulp esploso negli anni novanta (inoltre il contesto romano aggiunge quel pizzico di sale che rende ancora tutto più divertente: “sei quello delle bische, Las Vegas? Ma quale Las Vegas, Las Garbatellas”).
“Il Grande Racket” – superficialmente bollato alla sua uscita come film fascista – tratta il tema della giustizia privata con un’opportuna dose di humour e non prendendosi mai troppo sul serio, proprio per smorzare l’ultraviolenza con la quale Castellari muove le pedine sullo schermo. Questo non solo è uno dei più originali e adrenalinici poliziotteschi di sempre, ma è anche un film baciato da una regia da capogiro. Che bomba.
(Paolo Chemnitz)