Deep End

deep enddi Jerzy Skolimowski (UK/Germania Ovest, 1970)

Uno dei peggiori titoli mai concepiti dai nostri distributori è sicuramente “La Ragazza Del Bagno Pubblico”, mutuato dalla denominazione originale “Deep End” (che preferiamo mantenere anche in questa recensione), due paroline magiche che per giunta riassumono alla perfezione uno dei finali più belli del cinema degli anni settanta. Se quindi non avete mai sentito parlare di questo film, non lasciatevi ingannare dalla pessima scelta fatta in Italia, “Deep End” è infatti un morboso e ossessivo coming of age di quelli da ricordare ancora oggi. Il regista in effetti non è un illustre sconosciuto: Jerzy Skolimowski (già vincitore a Berlino nel 1967 con “Il Vergine”) era amico del più esperto Andrzej Wajda e aveva collaborato con Roman Polanski per “Il Coltello Nell’Acqua” (1962), un nome importante (non solo per la scuola polacca) a cui è stato tributato il giusto riconoscimento alla carriera durante la Mostra del Cinema di Venezia nel 2016.
Ci troviamo nella periferia di Londra: il quindicenne Mike ha lasciato gli studi per lavorare in un bagno pubblico crocevia continuo di uomini e donne, un luogo piuttosto lercio dove in realtà tutto ruota attorno agli impulsi sessuali. Qui Mike conosce la sua collega Susan (Jane Asher), una ragazza disinibita in crisi con il suo fidanzato ma allo stesso tempo impegnata in una controversa relazione con un signore sposato molto più grande di lei. L’adolescente (in piena tempesta ormonale) si innamora di Susan e fa di tutto per complicare la sua (doppia) vita sentimentale, agendo come uno stalker sia fuori che dentro l’ambiente di lavoro. La conclusione è tragica e Skolimowski dipinge come un artista davanti a una tela un epilogo veramente poetico e drammatico, capace di liberare le emozioni più profonde e inafferrabili. Merito pure delle inquadrature mai banali del regista polacco, abile nei movimenti con la mdp e bravo nel saper dirigere gli attori (Mike è interpretato da  John Moulder-Brown, lo stesso anno impegnato nel cult “Gli Orrori Del Liceo Femminile”).
In “Deep End” l’ossessione è raccontata dal punto di vista di un giovane teenager, non da quello di un individuo adulto: in questo modo l’atmosfera generale del film – seppur permeata dallo squallore e dal degrado (il cinema a luci rosse, il nightclub con la prostituta zoppa, il bagno stesso) – trova nel personaggio di Mike un riferimento ironico e inconsapevole che smorza la serietà delle intenzioni posta a monte degli eventi. Il suo è un comportamento innocente (quindi di riflesso istintivamente crudele), al contrario delle relazioni ipocrite e razionali del mondo che ruota attorno a lui, nel quale Susan rappresenta l’ago della bilancia. La suggestiva colonna sonora è affidata a Cat Stevens e ai Can (un celebre gruppo tedesco di rock sperimentale) e non poteva esserci soundtrack migliore per questa immersione completa negli albori dei 70s, un’epoca dove la liberazione sessuale viene messa a confronto con l’immaturità delle nuove generazioni. Con drastiche e irreparabili conseguenze.

4,5

(Paolo Chemnitz)

deep end foto

 

 

Pubblicità

Rispondi

Inserisci i tuoi dati qui sotto o clicca su un'icona per effettuare l'accesso:

Logo di WordPress.com

Stai commentando usando il tuo account WordPress.com. Chiudi sessione /  Modifica )

Foto Twitter

Stai commentando usando il tuo account Twitter. Chiudi sessione /  Modifica )

Foto di Facebook

Stai commentando usando il tuo account Facebook. Chiudi sessione /  Modifica )

Connessione a %s...